domenica 24 novembre 2013

Jamie Freel e la Fanciulla Rapita

iù a Fannet, in tempi lontani, vivevano Jamie Freel e sua madre. Jamie era l'unico sostegno per la vedova; le sue forti braccia lavoravano instancabilmente per lei, e ogni sabato sera le versava in grembo tutta la sua paga, ringraziandola rispettosamente per il mezzo penny per il tabacco che lei gli rendeva. I vicini lo esaltavano come il miglior figliolo che mai si fosse visto o di cui si fosse mai parlato. Ma Jamie aveva dei vicini della cui opinione era all'oscuro - personaggi che vivevano molto vicini a lui, che egli non aveva mai visto, eccetto che alla vigilia di maggio e di Ognissanti.
Si diceva che un vecchio castello in rovina, a circa un quarto di miglio dalla sua capanna, fosse il rifugio della piccola gente. Ogni vigilia di Ognissanti le antiche finestre si illuminavano, e quanti passavano di là vedevano minuscole figure che volteggiavano avanti e indietro nella costruzione, mentre si sentiva musica di cornamuse e flauti. Era ben noto che vi si tenevano dei festini magici; ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di intromettersi. Jamie aveva più volte osservato le figure di lontano e ascoltato quell'affascinante musica, chiedendosi come fosse l'interno del castello; ma una volta, alla vigilia di Ognissanti, si alzò e prese il cappello dicendo a sua madre:
"Vado al castello a cercare la mia fortuna"
"Che! - gridò lei - vuoi avventurarti lì? Tu, l'unico figlio di una povera vedova! Non essere così audace e. imprudente, Jamie! Ti uccideranno, e allora che ne sarà di me?"
"Non temere, madre; non mi succederà nulla di male, ma debbo andare."
Partì, e attraversato il campo di patate giunse in vista del castello, le cui finestre splendevano di una luce che sembrava trasformare in oro le foglie color bronzo ancora attaccate ai rami del melo selvatico. Fermatosi nel boschetto da un lato del rudere, rimase ad ascoltare la festa degli elfi, e quelle risate e quei canti lo resero ancora più risoluto a entrare. Schiere di piccoli esseri, i più grandi dei quali erano delle dimensioni d'un bimbo di cinque anni, danzavano alla musica dei flauti e dei violini, mentre altri bevevano e facevan festa.
"Benvenuto, Jamie Freel! Benvenuto, benvenuto Jamie!", esclamò la congrega scorgendo il visitatore. La parola Benvenuto fu raccolta e ripetuta da ogni voce nel castello. Il tempo volava, e Jamie si stava divertendo moltissimo, quando i suoi ospiti dissero:
"Questa notte faremo una cavalcata fino a Dublino per rapire una fanciulla. Vieni anche tu, Jamie Freel?".
"Sì che ci vengo!", gridò lo sconsiderato giovanotto che aveva sete di avventure. Molti cavalli aspettavano alla porta. Jamie saltò in groppa e il suo destriero si levò in aria con lui. Un attimo dopo sorvolava la capanna di sua madre, circondato dalla schiera degli elfi; e continuarono ad andare e andare, sopra erte montagne e basse colline, sopra il profondo Lough Swilley e sopra i villaggi e le capanne in cui la gente tostava nocciole e mangiava mele per festeggiare la vigilia di Ognissanti. A Jamie sembrò che avessero sorvolato tutta quanta l'Irlanda prima di arrivare a Dublino.
"Questa è Derry", dicevano le creature passando sopra la cima della cattedrale; e quello che veniva detto da una voce era ripetuto da tutte le altre, e alla fine cinquanta vocine gridavano insieme, "Derry! Derry! Derry!".
In questo modo Jamie venne informato mano a mano che passavano sopra ogni città che si trovava sulla loro rotta, e infine udì le voci argentine gridare: "Dublino! Dublino!". Non era una abitazione misera quella che stava per essere onorata dalla visita degli esseri magici, bensì una delle più belle case di Stephen's Green. La compagnia smontò da cavallo vicino a una finestra e Jamie vide un volto meraviglioso adagiato sul cuscino in un letto. Vide la fanciulla che veniva sollevata e portata via, mentre il ciocco che era stato poggiato al suo posto nel letto ne prendeva in tutto e per tutto la forma. La fanciulla fu collocata in sella davanti a un cavaliere e portata per un breve tratto, e poi passata ad un altro; mentre i nomi delle città venivano annunciati a tutta voce come nel viaggio precedente. Si stavano avvicinando a casa. Jamie sentiva Rathmullen, Milford, Tamney, e allora seppe che erano ormai vicini alla sua abitazione.
"Tutti quanti avete portato la fanciulla a turno - disse - e perché non dovrei portarla anch'io un pezzettino?"
"Ma certo, Jamie - risposero con gentilezza - puoi portarla anche tu per un po'."
E allora, tenendosi ben stretto il suo tesoro, smontò vicino alla porta della casa di sua madre.
"Jamie Freel, Jamie Freel! È così che ci tratti?", strillarono, scendendo anche loro da cavallo vicino alla porta. Jamie strinse forte le braccia, anche se non sapeva che cosa stesse stringendo, perché il piccolo popolo trasformava continuamente la ragazza in ogni sorta di strane forme. Un momento era un cane nero che abbaiava e cercava di mordere; subito dopo era una sbarra di ferro rovente che però non aveva calore; poi, ancora, un sacco di lana. Ma nonostante questo Jamie la teneva stretta, e gli elfi di cui s'era preso gioco se ne stavano già per andar via, quando una donnina minuscola, la più piccola del gruppo, esclamò:
"Jamie Freel ce l'ha strappata ma non gliene verrà certo alcun bene, perché la renderò sorda e muta", e gettò qualcosa sulla giovane.



Froud&Lee


Mentre si allontanavano a cavallo delusi, Jamie sollevò il chiavistello ed entrò in casa.
"Jamie, ragazzo! - gridò la madre - sei stato fuori tutta la notte; che mai ti hanno fatto?"
"Niente di male, mamma; ho avuto davvero molta fortuna. Ecco qui una bella fanciulla, che t'ho portato per farti compagnia."
"Che Dio ci assista!", esclamò la madre, e per qualche minuto rimase così sbalordita che non poté pensare a nient'altro da dire.
Jamie le raccontò la sua storia dell'avventura notturna, finendo col dire: "Certo non avresti permesso che la lasciassi con loro, per esser così perduta per sempre?".
"Ma una signora, Jamie! Come può una signora mangiare al nostro misero desco e vivere alla nostra povera maniera? Dimmelo tu, sciocco ragazzo!"
"Beh, mamma, certo è meglio per lei essere qui che non laggiù", e indicò in direzione del castello. Nel frattempo, la ragazza sorda e muta, che tremava di freddo nei suoi abiti leggeri, s'avvicinò all'umile fuoco di torba.
"Povera creatura, è strana e bella. Nessuna meraviglia che si siano invaghiti di lei - disse la vecchia, guardando la sua ospite con ammirazione e pietà - Prima di tutto dobbiamo vestirla; ma, in nome del cielo, cosa mai posso avere che sia adatto ad una come lei?"
Andò verso l'armadio della stanza e prese la sua gonna di panno scuro dei giorni di festa; poi aprì un cassetto e tirò fuori un paio di calze bianche, una lunga, candida veste di buon lino e una cuffia; i suoi abiti da morta, come lei li chiamava. Questi capi di vestiario erano pronti da tempo per una certa triste cerimonia di cui avrebbe dovuto un giorno essere la protagonista, e solo di tanto in tanto venivano tirati fuori, quando li appendeva a prendere aria; ma era disposta a dare anche queste cose alla bella e tremante visitatrice che continuava a volgere gli occhi con un'espressione di muto e stupito dolore, da lei a Jamie e da Jamie di nuovo a lei. La povera ragazza si lasciò vestire, poi sedette su una bassa panchetta nell'angolo del camino e nascose il volto tra le mani.
"Come faremo per mantenere come si deve una signora come te?", gridò la vecchia.
"Lavorerò per entrambe, mamma", rispose il figlio.
"E come potrà una signora adattarsi al nostro misero desco?", ripeté lei.
"Lavorerò per lei", fu la risposta di Jamie. E mantenne la parola.
La fanciulla fu molto triste per lungo tempo, e le lacrime le rigarono le guance per molte e molte sere, mentre la vecchia filava accanto al fuoco e Jamie fabbricava reti per i salmoni, cosa che aveva imparato a fare negli ultimi tempi nella speranza di rendere la vita più facile alla sua ospite. Lei era, però, sempre gentile, e si sforzava di sorridere quando s'accorgeva che la stavano guardando; poco per volta si adattò alle loro abitudini e al loro genere di vita. Non ci volle molto perché cominciasse a dar da mangiare ai maiali, a preparare pastoni di patate e cibo per galline, a fare calzini di lana blu. Passò così un anno, e venne di nuovo la vigilia di Ognissanti.
"Madre - disse Jamie togliendosi il cappello - vado al vecchio castello a cercar fortuna."
"Sei matto, Jamie? - gridò terrorizzata la madre - Di certo stavolta ti ammazzeranno per quello che hai combinato loro l'anno scorso."
Jamie non si curò delle sue paure e andò per la sua strada. Quando raggiunse il boschetto di meli selvatici vide le luci che illuminavano le finestre del castello, come la volta precedente, e sentì parlare ad alta voce. Strisciando sotto le finestre sentì quelli del piccolo popolo che dicevano: "È stato davvero un brutto tiro quello che ci ha fatto Jamie Freel un anno fa in questa notte, quando ci ha portato via la bella fanciulla".
"Certo - disse la minuscola donnina - e io l'ho punito per questo; che lei siede lì presso il suo focolare come una muta immagine; e lui non sa che tre gocce del liquido del bicchiere che ho in mano le restituirebbero udito e favella."


Froud&Lee

Il cuore di Jamie batté forte mentre lui entrava nel salone. Fu nuovamente accolto dalla congrega con un coro di benvenuto:
"Ecco Jamie Freel! Benvenuto, benvenuto Jamie!".
Appena il rumore si calmò, la fatina disse:
"Devi bere alla nostra salute, Jamie, da questo bicchiere che tengo in mano".
Allora Jamie le strappò di mano il bicchiere e si lanciò verso la porta. Non si rese neppure conto di come fosse riuscito a raggiungere la sua capanna, ma ci arrivò, senza fiato, e crollò su uno scaldino vicino al fuoco.
"Questa volta sei proprio conciato per le feste, povero il mio ragazzo!" disse sua madre.
"No, davvero, questa volta ho avuto più fortuna che mai!", e dette alla fanciulla tre gocce del liquido che ancora c'era in fondo al bicchiere malgrado la pazza corsa attraverso il campo di patate.
La dama cominciò a parlare, e le sue prime parole furono parole di ringraziamento per Jamie. I tre abitanti della capanna avevano tante di quelle cose da dirsi che ben dopo il canto del gallo, quando la musica magica era del tutto finita, stavano ancora parlando intorno al fuoco.
"Jamie - disse la dama - per favore portami carta, penna e inchiostro, così che possa scrivere a mio padre e raccontargli quello che mi è capitato."
Scrisse, ma passarono settimane senza che ricevesse risposta. Scrisse più e più volte, e ancora nessuna risposta. Infine disse:
"Devi venire con me a Dublino, Jamie, per trovare mio padre".
"Non ho il denaro per affittare una carrozza per te - rispose lui - e come potresti andare a piedi fino a Dublino?"
Ma lei lo implorò così tanto che Jamie acconsenti a mettersi in viaggio e a fare a piedi tutta la strada da Fannet a Dublino. Non fu certo così facile come il viaggio dei folletti, ma alla fine suonarono il campanello alla porta della casa di Stephen's Green.
"Dite a mio padre che c'è qui sua figlia", disse all'inserviente che era venuto ad aprire la porta.
"Il signore che abita qui non ha una figlia, ragazza mia. Ne aveva una, ma è morta più o meno un anno fa."
"Non mi riconoscete, Sullivan?"
"No, povera ragazza, non vi conosco."
"Consentitemi di vedere il padrone di casa. Voglio solo vederlo."
"Beh, non è una gran richiesta; vedremo quel che si può fare.".
Dopo pochi istanti il padre della dama arrivò alla porta.
"Caro padre - disse lei - non mi riconoscete?"
"Ma come osate chiamarmi padre? - gridò irato l'anziano gentiluomo - Siete una bugiarda. Io non ho una figlia."
"Guardate il mio viso, padre, e certamente vi ricorderete di me."
"Mia figlia è morta e sepolta. È scomparsa molto tempo fa.". La voce dell'anziano signore passò dall'ira al dolore: "Potete andarvene", concluse.
"Fermatevi, caro padre, finché avrete visto quest'anello che porto al dito. Guardate, porta inciso il vostro e il mio nome."
"È sicuramente l'anello di mia figlia; ma non so come lo abbiate avuto, e temo in modo poco onesto."
"Chiamate mia madre, lei mi riconoscerà di certo", disse la povera ragazza che, a questo punto, piangeva amaramente.
"La mia povera moglie sta cominciando a scordare la sua pena. Parla raramente di sua figlia ormai. Perché dovrei rinnovare il suo dolore facendole ricordare le sua perdita?".


Taylor W.L.

Ma la fanciulla insistette, finché fu mandata a chiamare la madre.
"Mamma, - iniziò a dire, appena l'anziana signora giunse alla porta - neppure tu riconosci tua figlia?"
"Non ho figlie; mia figlia è morta ed è stata sepolta molto, molto tempo fa."
"Ma guarda il mio viso, non puoi non riconoscermi."
L'anziana signora scosse la testa.
"Mi avete tutti dimenticata; ma guardate questo neo sul mio collo. Certo, mamma, ora mi riconosci?"
"Sì, sì - disse la madre - la mia Gracie aveva un neo come questo sul collo; ma io l'ho vista nella bara, e ho visto il coperchio che si chiudeva su di lei."
Allora fu la volta di Jamie di parlare, e lui raccontò la storia del viaggio dei folletti, del rapimento della fanciulla, della figura che aveva visto mettere al suo posto, della vita che lei aveva fatto a Fannet insieme alla madre, dell'ultima vigilia di Ognissanti e delle tre gocce che l'avevano liberata dal sortilegio. Quando lui si interruppe fu lei a continuare, raccontando quanto erano stati gentili con lei la madre e il figlio. I genitori non sapevano come esprimere a Jamie la loro gratitudine. Gli usarono ogni riguardo, e quando espresse il desiderio di ritornare a Fannet dissero che non sapevano cosa fare per dimostrare quanto gli erano grati. Ma sorse una strana complicazione. La figlia non voleva lasciarlo andare senza di lei.
"Se Jamie se ne va, vado con lui - diceva - Mi ha salvato dai folletti e da allora in poi ha lavorato per me. Se non fosse stato per lui, cari papà e mamma, non mi avreste rivisto mai più. Se lui se ne va, vado con lui."
Visto che questa era la sua decisione, il vecchio gentiluomo disse che Jamie avrebbe dovuto divenire suo genero. La madre fu portata da Fennet con un calesse a quattro, e ci fu un magnifico matrimonio. Vissero tutti insieme nella superba casa di Dublino, e Jamie ereditò, alla morte del suocero, incalcolabili ricchezze.

Da:
"Fiabe Irlandesi", (Fairy and Folk Tales of Ireland), W.B.Yeats

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