venerdì 18 dicembre 2015

A Christmas Carol - Capitolo Primo (Strofa Prima) - Traduzione Mia





nnanzitutto, Marley era morto: non vi è alcun dubbio su questo. Il registro del funerale recava le firme del prete, del chierico, dell'impresario delle pompe funebri, del becchino e del capo dei "piagnoni" professionisti. Scrooge in persona aveva firmato quel registro, e il nome di Scrooge valeva come moneta sonante su qualsiasi pezzo di carta. Il vecchio Marley era proprio morto, morto quanto può esserlo il chiodo di una porta, come si suol dire.
Badate bene! Non voglio mica darvi ad intendere che io sappia cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di una porta. Personalmente, sarei incline a considerare, piuttosto, il chiodo di una bara come l'articolo di ferramenta più morto che possa esserci. Ma è proprio in certe similitudini che risiede la saggezza dei nostri avi, e non sarò io a turbarla con la mia mano sacrilega: altrimenti, che ne sarebbe della Nazione? Lasciate, quindi, che io ripeta solennemente: Marley era morto, morto quanto può esserlo il chiodo di una porta.
Sapeva Scrooge della sua morte? Certamente. Come avrebbe potuto non saperlo? Scrooge e il morto erano stati soci non so per quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, il suo unico amministratore, il suo unico procuratore, il suo unico erede, il suo unico amico, e l'unico a compiangerlo. E, a dirla tutta, neanche Scrooge fu poi così toccato dal triste evento, tanto che si dimostrò l'accorto uomo d’affari che era il giorno stesso dei funerali, onorandoli con una vantaggiosissima transazione.
Rammentare il funerale mi fa tornare al punto di partenza. Non c’è dubbio che Marley fosse morto. Questo fatto va chiarito una volta per tutte, in caso contrario, niente di meraviglioso potrà scaturire dalla storia che sono in procinto di narrarvi. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre di Amleto sia morto prima che la tragedia abbia inizio, il suo giretto notturno su per i bastioni del maniero spazzati dal vento dell'Est non ci farebbe una particolare impressione rispetto alla passeggiata di un qualunque attempato gentiluomo del Medio Evo che se ne andasse dispettosamente in giro, di notte, in un posto ventoso - il cimitero di Saint Paul, mettiamo - unicamente per il piacere di sconvolgere la debole mente del figlio.
Scrooge non cancellò mai dall’insegna il nome del vecchio Marley. Anni dopo, sulla porta del magazzino si poteva ancòra leggere: "Scrooge e Marley". La ditta era nota come la "Scrooge e Marley". Capitava, a volte, che qualche uomo d'affari alle prime armi si indirizzasse a Scrooge ora con il nome di Scrooge e ora con quello di Marley, e lui rispondeva indifferentemente a entrambi: erano un tutt'uno.





Oh, ma che stretta le mani di quel benedetto Scrooge! Come sapevano artigliare, spremere, strizzare, scorticare le mani di quel vecchio, avido peccatore! Aspro e tagliente come una pietra focaia dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai fatto scaturire una fiamma generosa; chiuso, incrostato su se stesso, solitario come un’ostrica. Il gelo che si portava dentro gli crepava le fattezze, gli tormentava il naso aguzzo, gli tagliava le guance, gli inteccheriva il portamento, gli arrossava gli occhi e tingeva di bluastro le labbra sottili; se ne veniva fuori con una voce ròca che sembrava il rumore di una lima. Un filo di brina gli biancheggiava perennemente sul capo, sulle sopracciglia, sul duro mento allungato. La sua temperatura glaciale se la portava sempre addosso, con sé e intorno a sé: gelava il suo ufficio nei giorni della canicola estiva e non lo scaldava di un grado a Natale.
Caldo e freddo non sortivano alcun effetto su Scrooge. Nessun tepore poteva stiepidirlo, nessun gelo invernale poteva congelarlo. Non c'era vento più tagliente di lui, né tormenta di neve più ostinata nel perseguire i suoi fini, né pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva come aver ragione di Scrooge. La tempesta, la tormenta, la grandine, il nevischio sotto un solo aspetto potevano vantarsi di avere la meglio su di lui: non di rado, si concedevano con generosità. Scrooge no. Lui, mai.
Nessuno lo fermava mai per la strada per chiedergli, con viso cordiale:"Come sta, caro Scrooge? Quando verrà a trovarmi?" Mai un mendicante aveva implorato il più piccolo obolo, né un bambino gli domandava che ora fosse, né un uomo o una donna, una sola volta in vita loro, si erano rivolti a lui per informarsi sulla direzione da prendere per raggiungere questo posto o quell'altro. Persino i cani dei ciechi mostravano di conoscerlo: infatti, non appena lo scorgevano, subito si tiravano dietro il padrone in un cortiletto o sotto un portico. Poi scodinzolavano un poco, come volessero dire: "Infelice padrone mio, meglio non avere affatto gli occhi che prendersi un malocchio!"
Ma che gliene importava a Scrooge! Anzi, ci godeva proprio! Costeggiare i sentieri affollati della vita, fenderli ammonendo l'umana simpatia a tenersi bene a distanza era un vero piacere per lui.
Una volta - era il più bel giorno dell’anno, la vigilia di Natale - il vecchio Scrooge sedeva tutto indaffarato nel suo ufficio. Faceva freddo, piovigginava, c'era nebbia: sentiva la gente giù in cortile che respirava a fatica, si dava gran pacche sul petto, e batteva i piedi sulle pietre del selciato per scaldarli. 


Innocenti R.


Gli orologi della città avevano appena battuto le tre, ma sembrava già notte fonda...
In realtà, la luce del giorno non si era proprio vista, e dietro i vetri dei negozi vicini la luce delle candele punteggiava l'aria scura e spessa. La nebbia penetrava attraverso ogni fessura, attraverso ogni serratura, ed era così fitta che, nonostante il cortile fosse angusto, le sagome delle case dirimpetto sembravano ombre indistinte. Nel vedere quella grande nuvola scura scendere e ricoprire ogni cosa, si sarebbe potuto credere che la Natura, venuta a dimorare nei paraggi, avesse dato l’avvio ad una produzione di birra su larga scala.
La porta dell'ufficio era aperta per consentire a Scrooge di tener d’occhio il suo commesso, il quale, in una piccola cella più in là, una sorta di cisterna, era tutto intento a ricopiare lettere. Se il fuoco di Scrooge era misero - e lo era davvero!- avreste dovuto vedere quello del commesso... Così fievole che pareva alimentato da un unico pezzetto di carbone! Né c'era speranza di rinforzarlo, poiché la cesta del carbone Scrooge se la teneva nel suo ufficio, e, se il commesso avesse avuto l'ardire di presentarsi con la paletta in mano, senza tanti complimenti, il padrone gli avrebbe predetto che sarebbe stato necessario separarsi molto presto.  Così, l'impiegato si ravvolgeva ben bene intorno al collo il suo fazzolettone bianco e tentava di scaldarsi alla fiamma della candela, ma, non essendo un uomo di grande immaginazione, i suoi sforzi fallivano miseramente.
"Felice Natale, zio! E che Dio vi benedica! ", gridò una voce gioiosa. Era il nipote di Scrooge, piombato nel suo ufficio così all’improvviso che lo zio non l'aveva sentito arrivare.
"Ma va', va'! - rispose Scrooge - Roba da ciarlatani!"
Il nipote di Scrooge si era così ben riscaldato a furia di correre nella nebbia e nel gelo che irradiava luce: aveva la faccia rubizza e attraente, gli occhi splendenti e il fiato ancòra fumante.
"Che dite, zio? Natale, roba da ciarlatani? - esclamò - Non lo pensate davvero, ne sono sicuro!"
"E invece sì! - ribatté Scrooge - Un Natale felice! E tu? Che motivo avresti tu di esser tanto felice? E con che diritto? Sei povero quanto basta per non averne alcuno, mi pare".
"Andiamo, zio! - replicò il nipote, tutto allegro - E che diritto avete voi di essere triste? E che motivo avete di essere di cattivo umore? Siete ricco quanto basta, mi pare".


Lynch P.J.


Scrooge lì per lì non trovò una risposta adeguata, e, allora, ripetè il suo "Va', va'!" a cui fece seguire "Roba da ciarlatani!".
"Non siate così arcigno, zio ", disse il nipote.
"Come non esserlo - ribatté lo zio - quando vivo in un mondo di pazzi con il loro 'Felice Natale!'. Un Natale felice! Al diavolo il Natale! Che cos'è il Natale se non tempo di scadenze senza il denaro per farvi fronte; se non tempo in cui ci si ritrova più vecchi di un anno e neanche di un’ora più ricchi; se non tempo di bilanci con la lieta conclusione di non trovare una sola partita all’attivo in dodici mesi? Se potessi fare a modo mio - aggiunse Scrooge, indignato - ogni idiota che se ne va in giro con 'Felice Natale' sulle labbra, verrebbe bollito nel proprio pudding e sotterrato con un ramo di agrifoglio conficcato nel cuore. E così sia!"
"Zio!" implorò il nipote.
"Nipote! - ribattè arcigno lo zio, - tieniti il tuo Natale e lasciami il mio".
"Il vostro Natale! Ma che Natale è se non lo festeggiate?"
"E allora, lasciami in pace. E che buon pro ti faccia il tuo Natale!  Almeno un po' di più di quanto te ne abbia fatto finora!"
"Vi sono state molte cose - rispose il nipote - da cui avrei potuto ricavare qualcosa di buono e che non ho sfruttato. Oserei dire che il Natale è tra queste. Ma ho sempre considerato il giorno di Natale - lasciando da parte, se mi fosse concesso prendermi questa libertà, il rispetto dovuto alla sua natura sacra - un buon giorno, il giorno della gentilezza, del perdono, della carità e della gioia: il solo giorno dell'anno in cui sembra che tutti gli uomini e le donne, in tacito accordo, aprano i loro cuori egoisti e considerino i meno fortunati come compagni del medesimo viaggio verso la tomba e non come appartenenti a tutt’altra razza di creature, che percorrono differenti strade. E, benché non mi abbia mai procurato un soldo bucato, caro zio, io credo che il Natale mi abbia fatto del bene e che ancòra me ne farà. E allora dico: Dio benedica il Natale!"
Dal fondo della sua cisterna, il commesso applaudì d'impulso, ma, rendendosi immediatamente conto dell'imprudenza del suo gesto, si precipitò ad attizzare il fuoco, finendo per spegnerlo definitivamente.
"Fate che io senta un altro rumore di questo genere da parte vostra - gli disse Scrooge - e festeggerete il Natale da disoccupato. Siete un bell'oratore, signore - soggiunse rivolgendosi al nipote - Mi meraviglio che non vi facciate eleggere in Parlamento".
"Non vi arrabbiate, zio. Su! Vi aspettiamo domani sera a pranzo".
Scrooge rispose che piuttosto avrebbe voluto vederlo... Sì, lui disse proprio la frase per intero. Disse che, prima di accettare il suo invito, avrebbe voluto vederlo...
"Ma perché? - esclamò il nipote - Perché?"
"Perché ti sei sposato?" domandò Scrooge.
"Perché mi sono innamorato".
"Perché ti sei innamorato! - sbottò Scrooge, come se quella fosse l’unica cosa più ridicola di un felice Natale - Buon pomeriggio!"
"Ma voi, zio, non siete mai venuto a trovarmi neanche prima che io mi ammogliassi. Perché, adesso, usate il mio matrimonio come pretesto?"
"Buon pomeriggio", disse Scrooge.
"Da voi non voglio nulla, non chiedo nient'altro se non la vostra amicizia. Perché non possiamo essere amici?"
"Buon pomeriggio", disse Scrooge.
"Mi piange il cuore nel vedervi così ostinato. Tra noi non ci sono mai state questioni. Ho voluto fare questo tentativo in onore del Natale, e, tuttavia, conserverò il mio spirito natalizio. Buon Natale, dunque, caro zio!"
"Buon pomeriggio", disse Scrooge.
"E felice anno nuovo !"
"Buon pomeriggio", disse Scrooge.
Il nipote se ne andò. E non si lasciò sfuggire una sola parola astiosa. Andò via sereno, e si fermò un momento sulla porta per fare i suoi migliori auguri al commesso, il quale, pur intirizzito com’era, aveva dentro di sé più calore di Scrooge, poiché calorosamente li ricambiò.
"Ed eccone un altro - borbottò Scrooge che l’aveva udito - il mio commesso: quindici scellini la settimana, moglie e figli a carico e parla di Felice Natale. Mi andrò a chiudere a Bedlam! [1]".
Il suddetto lunatico, intanto, dopo aver accompagnato alla porta il nipote di Scrooge, aveva introdotto due visitatori. A giudicare dall’aspetto e dai modi, si trattava di due gentiluomini. Recavano con loro libri e documenti. Si levarono il cappello e s’inchinarono a Scrooge.
"Scrooge e Marley, suppongo? - disse uno dei due scorrendo una sua lista - Ho l’onore di parlare con il signor Scrooge o con il signor Marley?"
"Il signor Marley - rispose Scrooge - è morto da sette anni. In effetti, fanno giusto sette anni proprio questa notte ".
"Non dubitiamo che la sua generosità sia degnamente perpetuata dal socio sopravvissuto", soggiunse il gentiluomo, presentando le proprie credenziali.
E senz’altro non c'era da dubitarne poiché i due soci erano stati due spiriti singolarmente affini. Sulla disgraziata scelta della parola "generosità" Scrooge aggrottò la fronte, scosse il capo e restituì le credenziali.


Lynch P.J.


"In questo gioioso periodo dell'anno, signor Scrooge - esordì il gentiluomo, prendendo una penna, - è particolarmente auspicabile raccogliere qualche piccolo aiuto per quei poveretti, che, non avendo nulla, soffrono più di ogni altro i rigori della stagione. A migliaia mancano dello stretto necessario, centinaia di migliaia non hanno il minimo agio".
"Non ci sono più prigioni?", domandò Scrooge.
"Ce ne sono molte", rispose l’altro riponendo la penna.
"E le Workhouses [2]? Le hanno chiuse?"
"No, anche se desidererei ardentemente poterle dire il contrario!"
"La Treadmill Law e la Poor Law sono, dunque, sempre in vigore?"
"Come non mai".
"E io che avevo temuto, ascoltandovi, che qualche disgraziata circostanza avesse interrotto il lavoro di codeste utili istituzioni - disse Scrooge - Lietissimo di sapere che così non è".
"Spinti dal profondo convincimento che le suddette istituzioni non procurino in alcun modo ai più bisognosi il minimo conforto cristiano né per le miserie dell'anima né per quelle materiali - ribattè il gentiluomo - alcuni di noi si preoccupano di costituire un fondo destinato all'acquisto di un po’ di cibo e di carbone per gli indigenti. Preferiamo il periodo natalizio perché è questo il tempo in cui il Bisogno si inasprisce e l'Abbondanza si rallegra. Per quale somma desiderate sottoscrivere?"
"Non desidero affatto sottoscrivere! - rispose Scrooge.
"Desiderate restare anonimo?"
"Desidero essere lasciato in pace, giacché ci tenete proprio a sapere ciò che desidero. Quanto a me, a Natale non mi concedo trastulli, e non voglio contribuire a fornire ai lazzaroni i mezzi per farlo. Finanzio il sostegno delle suddette istituzioni, che, come lor signori sapranno, costano molto: quelli che se la passano male è là che devono andare".
"Molti non possono, e molti altri preferirebbero morire".
"E che muoiano, allora! - disse Scrooge - Se ne gioverebbe il sovrappopolamento. E, in fondo, signori, ne so poco di tutta la faccenda".
"A questo potreste porre rimedio", ribattè il gentiluomo.
"Non sono affari miei - rispose Scrooge - È già tanto che si riesca a capirci qualcosa degli affari nostri senza doverci immischiare in quelli degli altri. E i miei affari mi prendono tutto il tempo. Buon pomeriggio, signori!"
Vedendo bene l'inutilità di ulteriori tentativi, i due gentiluomini si ritirarono in buon ordine. Scrooge si rimise al lavoro: aveva un'opinione ancòra più alta di sé, e il suo umore era insolitamente lieto.


Lynch P.J.


Traduzione: Mab's Copyright

[1] Bedlam: o il Bethlehem Hospital di Londra, uno dei più antichi e famigerati ospedali riservato alla detenzione (perché parlare di "cura" sarebbe una bestemmia) dei malati di mente.

[2] Le Workhouses erano un'altra famigerata istituzione britannica. Conseguenza della Poor Law, citata subito dopo da Scrooge, erano tristissimi luoghi di raccolta degli indigenti. Sovvenzionate dallo Stato, riunite sotto l'inappellabile autorità dei varii consigli parrocchiali, di cui costituivano un'appetibile fonte di reddito, erano uno spauracchio, più che un ricovero, per i poveri, che perdevano anche quel simulacro di diritti umani e civili di cui "godevano". Le famiglie venivano separate: bambini, donne e uomini erano alloggiati in differenti edifici. Erano costretti ad obbedire a qualsiasi ordine, compresa la preghiera comune, indossavano una sorta di divisa e il vitto bastava appena - e non sempre - a tenerli in vita. Anche in età giovanissima, venivano ceduti (ovvero "appaltati" dalle Parrocchie) ad impresari e imprenditori esterni, dai quali potevano essere schiavizzati, dal momento che non erano tutelati in alcun modo. Chi si ribellava era punito duramente, e la punizione poteva arrivare ad un soggiorno ai lavori forzati. Dickens, che, grazie anche ai suoi trascorsi di cronista parlamentare, conosceva a fondo l'argomento e si era battuto politicamente per l'abolizione o la radicale riforma di simili istituzioni, ne tracciò un celeberrimo ritratto in "Oliver Twist". Come la stessa Bedlam o l'altrettanto famigerato carcere di Newgate, le Workhouses fornivano regolarmente coloni per le Americhe, causa sovraffollamento. E anche perché giusto un folle o un condannato a morte o ai lavori forzati a vita sarebbe partito per quelle terre accoglienti.



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