giovedì 29 maggio 2014

Biancaneve dei Grimm, Terza Parte, il Cacciatore, Sola nella Foresta

 Iban Barrenetxea


Da quel giorno, non tollerava neanche la vista di Biancaneve, tanto la odiava. E invidia e orgoglio crebbero come l'erba cattiva siché ella non ebbe più pace né di giorno né di notte. Allora, chiamò un cacciatore e gli disse:
"Porta la bambina nel profondo del bosco, non voglio più vederla. Uccidila, e portami i polmoni e il fegato come prova della sua morte".


Gilbert A.Y.


Il Cacciatore obbedì e condusse la bambina lontano, nel fitto del bosco, ma, quando brandì il coltello per trafiggere quel cuore innocente, ella pianse e disse:



Santore C.


Lisa Falzon



Sumberac M.

"Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò nel fitto del bosco e non tornerò mai più".
Ed era tanto bella mentre lo supplicava che il Cacciatore, impietosito, disse:
"Va', fuggi pure, povera bambina",
'Le bestie feroci non tarderanno a divorarti!', pensò, ma si sentiva sollevato perché non l'aveva uccisa con le sue mani. Proprio in quel momento, arrivò di corsa un cinghialetto da latte: lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla Regina come prova dell'uccisione di Biancaneve. Il cuoco di Corte dovette salarli e cucinarli, e la malvagia donna li divorò, credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve.


Gilbert A.Y.

Intanto, la povera bambina era sola soletta nel fitto del bosco, e aveva tanta paura che tremava ad ogni stormir di fronda, e non sapeva che fare. Si mise a correre, e corse, corse sulle pietre aguzze e tra i rovi, e si imbattè nelle bestie feroci, ma esse non le fecero alcun male.


Burkert Nancy Elkom


Santore C.


Lacombe B.

Corse finché le ressero le gambe: era ormai sera quando scorse una casina, e vi entrò per riposarsi.

mercoledì 28 maggio 2014

Biancaneve dei Grimm, Seconda Parte, in Cui si Parla di una Regina e del Suo Specchio



Franz Jüttner


Dopo un anno, il Re si risposò: la nuova Regina era molto bella, ma anche superba ed arrogante, e non poteva tollerare che un'altra donna la superasse in avvenenza. Possedeva uno specchio magico, e, quando vi si specchiava, diceva:

" Specchio, specchio delle mie brame, 
Chi è la più bella del Reame? "



Cameron K.

E lo Specchio rispondeva:

" Del Reame, o Regina, tu sei la più bella."

E la Regina era soddisfatta perché sapeva che lo Specchio diceva solo la verità.


Ludvik Glazer-Naudé





Lynch P.J.


Ma Biancaneve cresceva, cresceva e si faceva sempre più bella, e, a sette anni, era bella come il sole, più bella anche della stessa Regina. Un giorno, la Regina chiese allo Specchio:

"Specchio, specchio delle mie brame,
Chi è la più bella del Reame?"

Lo Specchio rispose:

" Regina, tu sei bella, 
ma Biancaneve è molto più bella."



Iban Barrenetxea 




Sumberac Manuel




La Regina  sussultò e illividì per la rabbia. Da quel momento, la sola vista di Biancaneve le divenne intollerabile, tanto la odiava. Come l'erba cattiva, invidia e orgoglio crebbero e crebbero, sicché ella non ebbe più pace né di giorno né di notte.



Gustafson S.

martedì 27 maggio 2014

Biancaneve, Grimm n. 53, Prima Parte

'era una volta - si era nel cuore dell'inverno e i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume - una Regina che cuciva accanto a una finestra dalla cornice di ebano. Cuciva e, ogni poco, alzava gli occhi per guardare la neve, così si punse un dito con l'ago, e sulla neve candida caddero tre rosse gocce di sangue. La Regina pensò: 'Ah, se avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l'ebano!'.


Santore C.


Lacombe B., (Blanche-Neige)


Barrett A.



Iban Barrenetxea


Burkert Nancy Elkom


Trascorse un po' di tempo, partorì una bambina, ed era proprio bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l'ebano: la chiamarono Biancaneve. E, subito dopo la sua nascita, la Regina morì.


Sumbarac M.


Gilbert A.Y.



Grimm n.53, "Sneewittchen". 
Classificazione: AaTh 709 [Little Snow-White]
(Continua!)

sabato 24 maggio 2014

Ecate, la Luna e Biancaneve

La Giricoccola greca, "Rodia", sola e piangente nel cuore della notte, s'imbatte nel terribile corteo di Ecate. La Dèa, un po' per capriccio, un po' per pietà, la prende sotto la sua protezione. Che la Luna e Ecate ricoprano lo stesso ruolo in due fiabe parallele non è sorprendente. Il culto di Ecate si è spesso affiancato e/o confuso con quello di Selene e di Artemide, divinità "lunari".


Maximilian Pirner

In realtà, Ecate ha tutte le caratteristiche delle grandi e temute Dèe pre-olimpiche: lo stesso Zeus non può opporle un rifiuto, e lei, che, sola, ha ascoltato il pianto di Demetra, si batterà perché Persefone possa riemergere dal suo tetro Regno.
Con il tempo, Ecate aveva subito la sorte di tutte le Dèe Madri (o meglio, di tutte le rappresentazioni della Dèa Madre): la divinità che presiedeva ai parti, alla generazione e alla rigenerazine della Terra, che, pur vergine, era madre e portatrice di fecondità, aveva un ovvio rapporto anche con il mondo sotterraneo, in un inesauribile ciclo vitale. Era prevalso questo aspetto. Guardiana feroce dell'Oltretomba, scortata da spettri e cani infernali che ululavano come lupi (e cuccioli di cane venivano sacrificati in suo onore), terrorizzava le notti degli uomini forando il buio con le torce delle sue processioni, tendendo agguati là dove più strade si incrociavano. Scontata la sua elezione a divinità regina e protettrice delle streghe, della magia, degli incantesimi; ispiratrice di filtri, di pozioni (Medea e Circe) e di veleni inesorabili.


Lacombe B. (Blanche-Neige)


Dov'è il nesso con Biancaneve? La Morte e la Rinascita (quella che Propp chiama la "Morte Temporanea", che ogni iniziando doveva affrontare). Biancaneve è una morta.
La Notte e le bestie feroci, spesso lupi, che la terrorizzano nella sua fuga.
La Mela, frutto sacro e attributo di Ecate.
Il Veleno (vedi sopra).
La Fecondità: queste versioni, molto più antiche della Biancaneve grimmesca, si sviluppano, nella seconda parte, parallelamente a La Bella Addormentata nel Bosco. Con il principe, Biancaneve genera immancabilmente due gemelli.
Propp afferma che nelle fiabe si verifica quella che chiama Inversione fiabesca: in seguito al distacco della società degli uomini dal profondo significato dei Riti di Iniziazione, la Maestra e Celebrante diventa la strega del bosco, torturatrice e cannibale. Ma è vero anche il contrario. Forse solo nelle fiabe, e questo è il caso, una Dèa come Ecate è ancòra Tutto: è veleno, ma anche il suo antidoto, è terrore, ma anche salvezza, è il Principio e la Fine, la Fine e il Principio.

venerdì 23 maggio 2014

Giricoccola (la "Biancaneve" bolognese), Calvino n.50

Purtroppo, non ho il testo originale (o non lo ritrovo), quindi ripiego sull'interpretazione di Calvino.
"Giricoccola" è la variante più famosa del secondo filone biancanevesco. Il primo - per restare nella raccolta di Calvino - fa capo a "La Bella Venezia" (n.109): Madre-matrigna, e non una Regina ma una procace Ostessa; Briganti, Fate buone e Giganti (vedi "La Mamma Cattiva", rumena) al posto dei nani.
Giricoccola ricorda la greca "Rodia", o più probabilmente, viceversa. Qui la Luna, lì, Ecate.
Si apre come "Il Luccio", fiaba n. 13 de "La Novellaja Fiorentina" di Imbriani, (che, però, rientra nel tipo La Bella e la Brutta). E si apparenta da vicino al tipo "Cenerentola" e alla prima parte de "La Bella e la Bestia". Le persecutrici sono le sorelle.
Da tenere presente anche la cenerentolesca "Gràttula-Beddàttula" e la marocchina "La Fanciulla che Bandì Sette Giovani", di Inea Bushnaq.


Schloe C.


n mercante che aveva tre figlie doveva andare in viaggio per certi suoi negozi. Disse alle figlie:"Prima di partire vi farò un regalo, perché voglio lasciarvi contente. Ditemi cosa volete".
Le ragazze ci pensarono su e dissero che volevano oro, argento e seta da filare. Il padre comprò oro, argento e seta, e poi partì raccomandando che si comportassero bene.
La più piccola delle tre sorelle, che si chiamava Giricoccola, era la più bella, e le sorelle erano sempre invidiose. Quando il padre fu partito, la più grande prese l'oro da filare, la seconda prese l'argento, e la seta la diedero a Giricoccola. Dopo pranzo si misero a filare tutte e tre alla finestra, e la gente che passava guardava in su alle tre ragazze, le passava in rassegna e sempre gli occhi di tutti si posavano sulla più piccina. Venne sera e nel cielo passò la Luna; guardò alla finestra e disse:

Quella dell'oro è bella,
Quella dell'argento è più bella,
Ma quella della seta le vince tutte,
Buona notte belle e brutte.

A sentir questo le sorelle le divorava la rabbia, e decisero di scambiarsi il filo. L'indomani diedero a Giricoccola l'argento e dopopranzo si misero a filare alla finestra. Quando passò verso sera la Luna, disse:

Quella dell'oro è bella,
Quella della seta è più bella,
Ma quella dell'argento le vince tutte,
Buona notte belle e brutte.

Le sorelle, piene di rabbia, presero a fare a Giricoccola tanti sgarbi, che ci voleva la pazienza di quella poverina per sopportarli.
E nel pomeriggio dell'indomani, mettendosi a filare alla finestra, diedero a lei l'oro, per vedere cosa avrebbe fatto la Luna. Ma la Luna, appena passò, disse:

Quella che fila l'argento è bella,
Quella della seta è più bella,
Ma quella dell'oro le vince tutte,
Buona notte, belle e brutte.

Ormai di Giricoccola le sorelle non potevano nemmeno sopportarne la vista: la presero e la rinchiusero su in granaio. La povera ragazza se ne stava lì a piangere, quando la Luna aperse la finestrella con un raggio, le disse:"Vieni", la prese per mano e la portò via con sé.

Schloe C.

Il pomeriggio seguente le due sorelle filavano da sole alla finestra. Di sera, passò la Luna e disse:

Quella che fila l'oro è bella, 
Quella dell'argento è più bella, 
Ma quella che è a casa mia le vince tutte, 
Buona notte, belle e brutte.

Le sorelle, a sentir questo, corsero a vedere su in granaio: Giricoccola non c'era più. Mandarono a chiamare un'astrologa, che strologasse dov'era la sorella. L'astrologa disse che Giricoccola era in casa della Luna e non era mai stata tanto bene.
"Ma come possiamo fare per farla morire?" chiesero le sorelle.
"Lasciate fare a me" disse l'astrologa. Si vestì da zingara e andò sotto le finestre della Luna, gridando le sue mercanzie.
Giricoccola si affacciò, e l'astrologa le disse:
"Vuole questi begli spilloni? Guardi. glieli do per poco!"
A Giricoccola quegli spilloni piacevano davvero, e fece entrare in casa l'astrologa.
"Aspetti che gliene metto uno io nei capelli", disse l'astrologa e glielo cacciò in capo: Giricoccola divenne subito una statua. L'astrologa scappò a raccontarlo alle sorelle.
Quando la Luna tornò a casa dopo il suo giro intorno al mondo, trovò la ragazza diventata statua e prese a dire:
"Ecco, te l'avevo detto di non aprire a nessuno, m'hai disubbidito, meriteresti che ti lasciassi così". Ma finì per averne compassione e le tirò via lo spillone dal capo: Giricoccola tornò a vivere come prima, e promise che non avrebbe più aperto a nessuno.
Dopo un po' le sorelle tornarono dall'astrologa, a chiederle se Giricoccola era sempre morta. L'astrologa consultò i suoi libri magici, e disse che, non capiva come mai, la ragazza era di nuovo viva e sana. Le sorelle ricominciarono a pregarla di farla morire. E l'astrologa tornò sotto le finestre di Giricoccola con una cassetta di pettini. La ragazza a vedere quei pettini non seppe resistere e chiamò la donna in casa. Ma appena ebbe in testa un pettine, eccola ridiventata statua, e l'astrologa scappò dalle sorelle.
La Luna rincasò e a vederla di nuovo statua, s'inquietò e gliene disse di tutti i colori. Ma quando si fu sfogata, le perdonò ancora e le tolse il pettine di testa la ragazza risuscitò.
"Però se succede ancora una volta - le disse - ti lascio morta". E Giricoccola promise.
Ma figuriamoci se le sorelle e l'astrologa s'arrendevano! Venne con una camicia ricamata, la più bella che si fosse mai vista. A Giricoccola piaceva tanto che volle provarla, e appena l'ebbe indosso diventò statua. La Luna, stavolta, non ne volle più sapere. Statua com'era, per tre centesimi la vendette a uno spazzacamino.
Lo spazzacamino girava per le città con la bella statua legata al basto del suo asino, finchè non la vide il figlio del Re, che ne rimase innamorato. La comprò a peso d'oro, la portò nella sua stanza e passava le ore ad adorarla e quando usciva chiudeva la stanza a chiave, perchè voleva essere solo lui a goderne la vista. Ma le sue sorelle, dovendo andare a una gran festa da ballo, volevano farsi una camicia uguale a quella della statua, e mentre il fratello era fuori, con una chiave falsa entrarono per toglierle la camicia.
Appena la camicia fu sfilata, Giricoccola si mosse e tornò viva.
Le sorelle per poco non morirono loro dallo spavento, ma Giricoccola raccontò la sua storia. Allora la fecero nascondere dietro una porta, e aspettare che tornasse il fratello. Il figlio del Re, non vedendo più la sua statua, fu preso dalla disperazione, ma saltò fuori Giricoccola e gli raccontò tutto. Il giovane la portò subito dai genitori presentandola come la sua sposa. Le nozze furono subito celebrate, e le sorelle di Giricoccola lo seppero dall'astrologa e morirono di rabbia immantinenti.

Schloe C.

Incipit da "Il Luccio":
C'era una volta una donna vedova, che aveva una figliola. Dunque, questa donna la trova da maritarsi con un vedovo, che aveva una figliola anche lui; ma quella di lui era bella, ma tanto bella, che non si pole spiegare! Un giorno Sua Maestà era alla finestra. Vede questa bella ragazza. Dice: 
"Bella questa ragazza! quanto mi piace!"
Queste due ragazze, una la tesseva e una la faceva cannelli: i cannelli della seta. Dunque, Sua Maestà entra in casa; picchia e va su. Va e dice: 
"Io son venuto da me a rivedere questa tela."
E tutti i giorni, quando gli era quell'ora, Maestà andava in casa; se la bella gli è a tessere, gli dice: 
"Bon dì e bon anno a quella che tesse; e bon giorno a chi fa i cannelli."
La madre che era tanto astiosa (la fortuna, la voleva darla a sua figliola, avete capito?), la la mette a tessere e la bella a fare i cannelli. Eccoti il Re: 
"Bon giorno a quella che tesse; e bon dì e bon anno a quella che fa i cannelli." Dunque, la pensa, questa donna: 'Aspetta: la voglio mandare dalle fate per lo staccio; così me la mangeranno."...
E l'Imbriani annota:
Tratto frequente nelle fiabe. Una pomiglianese comincia così:
"Nce stevano 'na vota tre figliuole e l'urtima 'e cheste ssi chiammava Viola. Tutt'e tre faticavane; ma 'a primma filava, 'a siconda tesseva e 'a terza cuseva. 'O figlio d''o Re ssi n'ammuravo; e sempe ca passava riceva: "Quanto è bella chella cu fila; quanto è cchiu bella chella cu tesse; ma quanto è cchiu bella chella cu cose! Mme cose 'sto core! Ebbiva Viola! Ebbiva Viola!"
'E sore n'avevane 'mmiria e pi' dispietto 'a mittettere a filà'. Passava 'o figlio d'o Re e ricette: "Quanto è bella chella cu tesse, quanto è cchiu bella chella cu cose; ma quanto è cchiù bella chella cu fila! Mme fila 'sto core! Ebbiva Viola! Ebbiva Viola!"
'E sore 'a mittettere a tessere; ma 'o figlio d''o Re pure accussì diceva e sempe cu' Viola aveva."

giovedì 22 maggio 2014

"Non è Più il Tempo che Berta Filava", V. Imbriani (da "Il Malmantile Ritrovato")

ipino, Re di Francia, per mezzo di suoi Ambasciatori sposò Berta dal Grampiè, figliuola di Filippo, Re d'Ungheria: la quale, avendo saputo, che questo suo sposo era brutto e nero, mal volentieri s'accomodava a dare il consenso; ma pare, vinta dalla reverenza dovuta al padre, condescese. Arrivata in Francia, lasciandosi governare dal giovenil sentimento, richiese Elisetta di Magonza, sua segretaria (la quale d'Ungheria, dove era nata del Conte Guglielmo di Magonza, ribelle di Francia, se ne veniva con Berta a Parigi) che volesse, fingendosi la sua persona, in sua vece sposarsi con Pipino, il quale, e per la somiglianza che era fra lor due, e per non aver Pipino mai veduta Berta, non l'avrebbe assolutamente riconosciuta. Elisetta da principio si mostrò renitente; ma persuasa poi da Grifone e Spinardo di Magonza suoi parenti, condescese a' voleri di Berta.
E così arrivate a Parigi, Elisetta si sposò con Pipino invece di Berta.
La qual Berta intanto, di consiglio de' detti due Maganzesi, s'era fermata in un luogo vicino a Parigi, con pensiero fermato con detti Maganzesi di quindi occultamente partirsi e tornarsene alla patria con l'ajuto de' medesimi.
Ma questi la tradirono, perché, invece di servirla alla volta della patria sua, l'inviarono ad un bosco, con ordini a quelli, che la conducevano, che l'uccidessero. Ma costoro, mossi a pietà, in vece d'ucciderla, la spogliarono e legata ad un albero la lasciarono in preda alla fortuna e tornarono ai Maganzesi, dicendo che l'avevano uccisa. I Maganzesi, per occultare sì atroce delitto, fecero morire tutti quei sicarî, avendo prima anche d'arrivare a Parigi, fatte ritornare in Ungheria tutte le dame ed altre persone, non complici né consapevoli di sì grande scelleraggine.
Berta, intanto che se ne stava così legata, dolendosi e lamentandosi, fu sentita da un tal Lamberto, cacciatore del Re Pipino. Costui, seguitando la voce, si condusse dove stava Berta legata all'albero; e scioltala, alla propria casa la condusse, e la consegnò alla moglie, vestendola d'abiti vili e conformi alla possibilità di lui ed alla povera condizione della quale Berta disse d'essere. Qui stette Berta cinque anni. Nel qual tempo guadagnò molti danari, di filare ed altri lavori, che insieme colle figliuole di Lamberto faceva. Avvenne un giorno, che essendo Pipino a caccia, si condusse solo alla casa di Lamberto: ove, veduta Berta, s'invaghì di lei, e con essa si congiunse sopra ad un suo carro. Nel qual congiungimento fu generato Carlo, così detto dal medesimo carro. In tale occasione Berta scoperse a Pipino il tradimento dei Maganzesi, narrandogli tutto il seguito. Per lo che Pipino fece abbruciare Elisetta ed una mano di Maganzesi e rimesse nel trono Berta.

"La Regina Berta e le Filatrici", Anker A.

Da questa favolosa istoria nacque il proverbio: Non è più il tempo che Berta filava, ossia, non è più il tempo che Berta stava nelle selve filando e ricamando, per dire che le cose son mutate di bene in male.

Dalle note alla fiaba n.19 de La Novellaja Fiorentina, V.Imbriani.

La Matrigna (Liguria), Beatrice Solinas Donghi

'era una volta un albergatore vedovo che aveva una figlia di una bellezza straordinaria. Quest'uomo si sposò con una donna che, in quanto a bellezza, non era nemmeno da paragonare alla figliastra; tanto che questa matrigna prima incominciò a invidiarla, poi diventò gelosa. E metteva a perdere quel pover'uomo, che alla fine non ne poté più e acconsentì a separarsi dalla figlia, benché lo facesse molto malvolentieri.

Bilibin I.

Dunque un giorno dice a sua figlia:
"Vieni, andiamo a fare una passeggiata".
Si incamminarono, passarono boschi e torrenti. Arrivati in cima a un monte, l'uomo  disse alla figlia di aspettarlo lì per pochi minuti, il tempo di andarle a cercare dei fiori nelle vicinanze. La ragazza aspettò un'ora, poi due, poi fino alla notte, ma era inutile, il padre non tornava. Capì d'esser stata abbandonata e si mise a piangere.
Infine sentì dei passi, andò di dove veniva il rumore e si trovò in mezzo a una banda di briganti. Ma loro, stupefatti dalla sua meravigliosa bellezza, non le fecero alcun male e decisero di prenderla a vivere con loro come una sorella, perché gli facesse le faccende di casa.
Lei visse per parecchio tempo in questa condizione.
Un giorno che stava preparando il pranzo vide venire da quella parte una vecchia, la fece entrare in casa e le regalò tutto quello che poteva farle piacere, invitandola anche a tornare tutte le volte che voleva. La vecchia, che era una strega, le domandò il permesso di venire tutti i giorni per pettinare i suoi bei capelli. La ragazza disse sì per farle piacere, ma l'indomani la vecchia mentre la pettinava le piantò uno spillone nella testa e se ne andò. Tornarono i briganti e trovarono la bella trasformata in statua; ebbero un bel chiamarla, scrollarla, non c'era niente da fare. Decisero allora di tenerla per bellezza, come si tiene una statua, e la piazzarono in un punto dove tutti potevano vederla nel passare.
Il figlio del re un giorno andò a caccia in quel bosco con un gran seguito. Durante la caccia vide da lontano parecchi dei suoi compagni fermi a guardare qualcosa. Si avvicina e vede questa bella ragazza inanimata. La fece subito trasportare a palazzo e chiudere in camera sua, e proibì a tutti quanti, chiunque fossero, di metter piede in quella stanza; ma fu proprio questa proibizione che mise in curiosità i cortigiani, e anche la sorella del principe.
Una volta la sorella riuscì a infilarglisi in camera mentre lui non c'era, e vedendo questa meravigliosa ragazza inanimata e i suoi bei capelli ebbe la fantasia di pettinarla. Pettinandola sentì la capocchia dello spillone, glielo sfilò dalla testa e la bella ragazza ritornò in vita.
Quando venne il figlio del re si accorse subito che era successo qualcosa. Sua sorella gli andò incontro e gli disse di venire a vedere cosa c'era in camera sua.
Appena aprì la porta e vide la ragazza ritornata in vita, lui si slanciò dentro e la pregò che lo accettasse per marito. Si fecero le nozze, ma gli sposi non ebbero che pochi giorni felici da passare insieme difatti, siccome era stata dichiarata la guerra, il figlio del re dovette per forza andarci anche lui e lasciare la moglie in custodia ai genitori....

Natalie Shau

E arriva la Matrigna. La mamma-buona è morta. E il vedovo svolge uno dei suoi due ruoli abituali: seguire l'amata moglie nella tomba, dopo aver doverosamente impalmato un'arpia (spesso con prole), o, per star tranquillo, farsi carnefice della figlia e svolgere la funzione del Cacciatore.
Spuntano anche i Briganti - gran frequentatori delle versioni italiane - e la "sorellina nel bosco" di Propp.
La statua o la bambola tale e quale ad una donna vera (così diffusa in tanti tipi fiabeschi) promuovono il principe da necrofilo a feticista. La strega opera per puro istinto stregonesco.
Nella seconda parte, accantonata, l'intreccio segue i tipi: Bene Come il Sale e/o La Fanciulla Senza Mani, con tanto di falso parto mostruoso, lettere sostituite (dalla rediviva Matrigna), nuova fuga e agnizione finale.

mercoledì 21 maggio 2014

La Tragica Fine della Contessa di Challant, Matteo Bandello

Bandello non è a Milano al momento dell’esecuzione, per cui riferisce i fatti come riferitigli dal poeta milanese Antonio Sabino. Il novelliere insiste sulle basse origini della donna, che dice figlia di un ricchissimo usuraio di Casalmonferrato. In realtà Bianca Maria Gaspardone è figlia di conte, per quanto di recente nobiltà. Nel 1514, quando è poco più che quindicenne, sposa Ermes Visconti, attirato dalla cospicua dote. Dopo la morte del marito (giustiziato dai francesi per sospetto tradimento sulla piazza d’armi del Castello), è accolta dai Bentivoglio. Grazie alla straordinaria avvenenza è corteggiata da parecchi pretendenti. Nel 1522 il potente signore valdostano Renato di Challant riesce a conquistarla, ma non a farle apprezzare la vita solitaria nei castelli alpini, a lei che è abituata alla mondanità di Milano.

Federico Pastoris, I signori di Challant nel castello di Issogne

Bianca Maria scappa nel 1524 a Pavia, dove mena "una vita troppo libera e poco onesta", facendo "all’amore con questo e con quello".
"Ho ventidue anni e son già vedova due volte. La sorte può mutare", le fa dire Giacosa nella sua fortunata pièce teatrale. La descrizione bandelliana di Pavia come di città mondana e tentatrice può far oggi sorridere, ma coincide con la visione che nel passato si aveva della vivace città universitaria. Quis Papie demorans castus habeatur? (chi dimorando a Pavia potrebbe rimare casto?): cantavano i goliardi del medioevo.
Solo a posteriori – scrive Bandello – si capiscono le ragioni della gelosia del Visconti, dopo che la donna, libera dal controllo del consorte, si è mostrata in tutta la sua congenita disonestà, fino alla condanna per omicidio il 20 ottobre 1526. Eppure la dama aveva la fama di donna "costumata", quando – pur non potendosi permettere le libertà delle signore milanesi – praticava la Casa Bentivoglio. Con il senno di poi, Bandello la descrive come una puledra irrequieta, tenuta a freno dal marito, che le impedisce di presenziare alle occasioni mondane:
"ella ne le prime nozze era moglie del nostro signor Ermes Vesconte, che Dio abbia in gloria, perciò che egli era riputato esser di lei geloso. Del che era in Milano assai biasimato. Egli non permetteva che ella praticasse in molti luoghi, se non in casa de la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, ove spesso io la vedeva e seco domesticamente ragionava. Onde mi ricordo che, essendo ella fanciulletta, e volontarosa, come le fanciulle sono, d’andar a le feste con quella libertà che le donne milanesi vanno, pregò essa signora Ippolita, che l’impetrasse dal marito di poter andar in certo luogo, massimamente essendovi invitata. La signora Ippolita fece in effetto l’ufficio a la presenza mia con il signor Ermes, un giorno che di compagnia eravamo noi tre soli a ragionar insieme. Ascoltò il signor Ermes la richiesta fattagli, e poi sorridendo così le rispose: […] Voi mi perdonarete s’io non lascio andar la mia moglie ov’ella vuole e se non le do tanta libertà quanta in Milano si costuma, perché io conosco il trotto e l’andar del mio polledro…."



Bandello racconta la dinamica dei fatti con il consueto realismo. Nel secolo romantico, Giacosa e altri assolveranno la contessa dalla taccia di femmina depravata, indicando come causa della condanna capitale il rifiuto di lei a concedersi al duca di Borbone, governatore milanese. Ma Bandello non mostra pietà per la "putta sfacciata", perfida e ninfomane, sempre in cerca di un "gagliardo macinatore".

"Questo don Pietro era giovine di ventidui anni, brunetto di faccia ma proporzionato di corpo e d’aspetto malinconico, il quale veggendo un dì la signora Bianca Maria, fieramente di lei s’innamorò. Ella conoscendolo e giudicatolo piccione di prima piuma ed instrumento atto a far ciò che ella tanto bramava, se le mostrava lieta in vista, e quanto poteva più l’adescava, per meglio irretirlo e abbarbagliarlo. Egli, che più non aveva amato donna di conto, stimando questa esser una de le prime di Milano, miseramente per amor di lei si struggeva. A la fine ella se lo fece una notte andar a dormir seco, e con amorevolissime accoglienze lo raccolse, e mostrandosi ben ebra de l’amor di lui, li fece tante carezze e gli dimostrò tanta amorevolezza nel prender amorosamente piacer insieme, che egli si reputava esser il più felice amante che fosse al mondo, e in altro non pensando che in costei, così se le rendeva soggetto, che ella non dopo molto entrata in certi ragionamenti, domandò di singular grazia al giovine che volesse ammazzar il conte di Gaiazzo e il signor Ardizzino. Ma la disgraziata giovane, avendo di bocca sua confermata la confessione de l’amante, fu condannata che le fosse mózzo il capo. Ella, udita questa sentenza, e non sapendo che don Pietro era scappato per la più corta, non si poteva disporre a morire. A la fine essendo condutta nel rivellino del castello verso la piazza, e veduto il ceppo, si cominciò piangendo a disperare e a domandar di grazia che, se volevano che morisse contenta, le lasciassero veder il suo don Pietro; ma ella cantava a’ sordi. Così la misera fu decapitata. E questo fin ebbe ella de le sue sfrenate voglie."

Tratto da:
http://www.storiadimilano.it/

lunedì 19 maggio 2014

La Schiavotta, G. B. Basile, Pentamerone, Seconda Giornata, Cunto Ottavo (Prima Parte)

Mi avvicino a Biancaneve risalendo alle origini: questo Cunto di G.B. Basile, almeno per quanto riguarda la prima parte, è la Madre di Biancaneve (AaTh 709). Ma, per chi abbia voglia di fermarsi a riflettere e disponga degli strumenti appropriati, è una finestra spalancata anche su La Bella Addormentata e Barbablu.


Hacker A.



'era una volta un barone di Selvascura, che aveva una sorella zitella, la quale andava sempre, con le altre giovinette della sua stessa età, a far salti in un giardino. Un giorno, trovando una bella rosa tutt'aperta, posero pegno tra loro che chi la saltasse netta, senza toccarle una foglia, guadagnerebbe un tanto. E, saltandovi molte di quelle ragazze a cavalcioni di sopra, tutte vi urtavano e nessuna la scavalcava netta. Ma, quando fu la volta di Lilla, che era la sorella del barone, essa, tolto un po' di vantaggio, prese tale rincorsa che saltò di peso di là dalla rosa. Pure una foglia cadde, ed essa fu così accorta e destra che, cogliendola di terra, senza lasciarsi scorgere, la inghiottì e guadagnò la scommessa.
Non passarono tre giorni e Lilla si sentì incinta; per la qual cosa ebbe a morir dal dolore, ben sapendo di non aver fatto né imbrogli nè disonestà e non comprendendo perciò come le si fosse potuta gonfiare la pancia.
Corse, dunque, a certe fate sue amiche, le quali, udito il caso, le dissero che stesse tranquilla, perché la causa n'era stata la foglia di rosa, che aveva ingoiata.
Lilla, saputo ciò, attese a celare quanto più poté la sua condizione e, giunta l'ora di sgravarsi del peso, partorì in segreto una bella bambina, alla quale pose nome Lisa, e la mandò alle fate. Tutte esse, allora, le dettero la loro fatagione; ma l'ultima, accorrendo a vedere questa bambina, si slogò così malamente il piede che, per l'acuto dolore, le gettò la bestemmia che, ai sette anni, la madre, nel pettinarla, dimenticasse il pettine nei capelli, ficcato nella testa, e di ciò la fanciulla morisse.


Remnev A.

Al compirsi dei sette anni [1], accadde la disgrazia, e la disperata madre, dopo fatto un amaro lamento, la chiuse in sette casse di cristallo, l'una dentro l'altra, e la collocò nella stanza estrema del palazzo, mettendosi in tasca la chiave. Senonché, dopo qualche tempo, consumata a morte dal dolore, sentendosi presso alla fine, chiamò il fratello e gli disse:
"Fratello mio, io mi sento a poco a poco tirare dall'uncino della morte. Ti lascio tutte le carabattole mie, che ne sii signore e padrone; ma mi devi dar la parola che non aprirai mai l'ultima stanza di questa casa, serbandone gelosamente la chiave nello scrigno".
In capo ad alcuni anni, questo signore, che intanto aveva preso moglie, fu invitato a una caccia e, nel raccomandare alla moglie la cura della casa, la pregò soprattutto di non aprire quella stanza, della quale serbava la chiave nello scrigno. Ma, non così presto ebbe volto le spalle, che quella, tirata dal sospetto, sospinta dalla gelosia, e scannata dalla curiosità, che è la prima dote della donna, prese la chiave e andò ad aprirla.


Jüttner Franz


E, vedendo dalle casse di cristallo trasparire la giovinetta, le dischiuse a una a una, e trovò che quella pareva che dormisse.
Essa era cresciuta come ogni altra donna, e con lei s'erano ingrandite le casse, man mano che cresceva.
Al vedere questa bella creatura, la femmina gelosa pensò subito:
'Bravo, per la vita mia! Chiave in cintura e corna in natura! Questa era tutta la diligenza di non lasciar aprire la camera, per non far vedere il Maometto [2], che adorava dentro le casse!'.
E, nel così dire, la afferrò dai capelli, traendola fuori e, in quello sforzo, il pettine cadde a terra e l'assopita si risentì, strillando; "Mamma, mamma mia!".
"Va', che ti voglio dare mamma e tata!" esclamò la baronessa e, tutta fiele come schiava, rabbiosa come cagna che ha partorito, velenosa come serpe, le tagliò subito i capelli, le aggiustò una bastonatura coi fiocchi, le mise un vestito stracciato, e ogni giorno le scaricava bernoccoli alla testa, melanzane agli occhi, marchi alla faccia, facendole la bocca come se avesse mangiato piccioni crudi [3].

Dalle Note al Testo:

[1] Croce corregge l'originale  "'n capo dell'anno", giudicandolo una svista di Basile (Lisa muore a sette anni); ma la crescita straordinaria è un topos della letteratura popolare: oltre che nelle fiabe, compare spesso nei miti e nelle agiografie.

[2] Il corpo di Maometto che, secondo una favola che correva per l'Europa, era serbato a Medina in una cassa sospesa in aria dalla forza di un magnete.
(B. Croce)

[3] Cioè, tutta lorda di sangue. (B. Croce)]

La nascita straordinaria di Lisa è una variazione del motivo della gravidanza magica; l'insolita modalità è ispirata, forse, dalla favola ovidiana che attribuisce il concepimento di Marte all'aver Flora toccato Giunone con un fiore.

Le fate, chiamate a dar la loro fatagione alla neonata, con la maledizione della fata indispettita, ricordano l'inizio de La Bella Addormentata nel Bosco; entrambi i motivi compaiono, prima che in Perrault, anche nella Vajassa Fedele di Sarnelli.

Il pettine che provoca la morte apparente della bambina e le sette casse di cristallo in cui il suo corpo viene custodito evocano la fiaba di Biancaneve, Grimm 53, mentre il divieto di aprire una porta compare in molti intrecci, e in particolare in quello di Barbablu.

Testo e note a cura di Anna Buia


"Zefiro e Flora", Waterhouse J.W.


Sia Zefiro che Flora fanno parte di intrecci piuttosto confusi (non credo di essere influenzata dalla mia antipatia per la mitologia latina...), resta il fatto che, nelle fiabe, spesso, "un gran vento" ingravida la vergine regale, oppure lo fa un fiore, che l'eroina scavalca o ingerisce, come in questo caso, o, più prosaicamente, un fiore in vaso (in cui si cela un bellissimo principe) e che la principessa ama svisceratamente e cura nella sua camera. Il "gran vento" è spesso la causa di quella che Propp chiama la Disgrazia iniziale e che mette in moto l'intreccio fiabesco.
Il vento rapisce la principessa - in genere, la sorella del principe, che corre alla sua ricerca. Oppure il padre della rapita la promette in sposa a chi gliela riporterà sana e salva. Ma il "gran vento" rapisce anche gli uomini. Rapisce lo sposo e l'eroina patisce sventure ed umiliazioni pur di ritrovarlo. Del resto, Zefiro ha amato una ninfa rendendola Dèa, ma ha conteso Giacinto ad Apollo, arrivando ad ucciderlo pur di non lasciarlo al rivale.

Mab

venerdì 16 maggio 2014

La Ragazza Mela, Calvino n.85

'era una volta un Re e una Regina, disperati perché non avevano figlioli. E la Regina diceva: "Perché non posso fare figli, così come il melo fa le mele?".
Ora successe che alla Regina invece di nascerle un figlio le nacque una mela. Era una mela così bella e colorata come non se n'erano mai viste. E il Re la mise in un vassoio d'oro sul suo terrazzo.

Victor Nizovtsev

In faccia a questo Re ce ne stava un altro, e quest'altro Re, un giorno che stava affacciato alla finestra, vide sul terrazzo del Re di fronte una bella ragazza bianca e rossa come una mela che si lavava e pettinava al sole. Lui rimase a guardare a bocca aperta, perché mai aveva visto una ragazza così bella. Ma la ragazza, appena s'accorse d'esser guardata, corse al vassoio, entrò nella mela e sparì. Il Re ne era rimasto innamorato.
Pensa e ripensa, va a bussare al palazzo di fronte, e chiede della Regina:
"Maestà - le dice - Avrei da chiederle un favore".
"Volentieri, Maestà, tra vicini se si può essere utili..." dice la Regina.
"Vorrei quella bella mela che avete sul terrazzo".
"Ma che dite, Maestà? Ma non sapete che io sono la madre di quella mela, e che ho sospirato tanto perché mi nascesse?".
Ma il Re tanto disse tanto insistette, che non gli si potè dire di no per mantenere l'amicizia tra vicini. Così lui si portò la mela in camera sua. Le preparava tutto per lavarsi e pettinarsi, e la ragazza ogni mattino usciva, si lavava e pettinava e lui la stava a guardare. Altro non faceva, la ragazza: non mangiava, non parlava. Solo si lavava e pettinava e poi tornava nella mela.
Quel Re abitava con una matrigna, la quale, a vederlo sempre chiuso in camera, cominciò a insospettirsi:
"Pagherei a sapere perché mio figlio se ne sta sempre nascosto".
Venne l'ordine di guerra e il Re dovette partire. Gli piangeva il cuore, di lasciare la sua mela! Chiamò il suo servitore più fedele e gli disse:
"Ti lascio la chiave di camera mia. Bada che non entri nessuno. Prepara tutti i giorni l'acqua e il pettine alla ragazza della mela, e fa' che non le manchi niente. Guarda che poi lei mi racconta tutto".
(Non era vero, la ragazza non diceva una parola, ma lui al servitore disse così.)
"Sta' attento che se le fosse torto un capello durante la mia assenza, ne va della tua testa."
"Non dubiti, Maestà, farò del mio meglio."
Appena il Re fu partito, la Regina matrigna si diede da fare per entrare nella sua stanza. Fece mettere dell'oppio nel vino del servitore e quando s'addormentò gli rubò la chiave. Apre, e fruga tutta la stanza, e più frugava meno trovava. C'era solo quella bella mela in una fruttiera d'oro.
"Non può essere altro che questa mela la sua fissazione!"
Si sa che le Regine alla cintola portano sempre uno stiletto. Prese lo stiletto, e si mise a trafiggere la mela. Da ogni trafittura usciva un rivolo di sangue. La Regina matrigna si mise paura, scappò, e rimise la chiave in tasca al servitore addormentato.
Quando il servitore si svegliò, non si raccapezzava di cosa gli era successo. Corse nella camera del Re e la trovò allagata di sangue.
"Povero me! Cosa devo fare?" e scappò.

Alexandra Nedzvetskaya

Andò da sua zia, che era una Fata e aveva tutte le polverine magiche. La zia gli diede una polverina magica che andava bene per le mele incantate e un'altra che andava bene per le ragazze stregate e le mescolò insieme.
Il servitore tornò dalla mela e le posò un po' di polverina su tutte le trafitture. La mela si spaccò e ne uscì fuori la ragazza tutta bendata e incerottata.
Tornò il Re e la ragazza per la prima volta parlò e disse:
"Senti, la tua matrigna m'ha preso a stilettate, ma il tuo servitore mi ha curata. Ho diciotto anni  e sono uscita dall'incantesimo. Se mi vuoi sarò tua sposa".
E il Re "Perbacco, se ti voglio!".
Fu fatta la festa con gran gioia dei due palazzi vicini.
Mancava solo la matrigna che scappò e nessuno ne seppe più niente.

E lì se ne stiedero, e se ne godiedero.
E a me nulla mi diedero.
No, mi diedero un centesimino
E lo misi in un buchino.



martedì 6 maggio 2014

Il Diletto Orlando, Grimm n.56

'era una volta una donna che era una strega e aveva due figlie: una, brutta e cattiva, era la sua figlia; l'altra, buona e bella, era la figliastra. Ed ella tanto amava la prima, quanto odiava la seconda. Un giorno la figliastra aveva un bel grembiule che piaceva all'altra, tanto che quest'ultima, invidiosa, andò dalla madre e disse: "Quel grembiule deve essere mio".
"Sta' tranquilla, bimba mia, lo avrai - disse la vecchia - la tua sorellastra ha meritato la morte da un pezzo, e questa notte, mentre dorme, verrò a tagliarle la testa. Bada solo di coricarti dietro e spingila ben bene sul davanti".



Schirmer Jana


La povera fanciulla sarebbe stata perduta se, per caso, non si fosse trovata in un angolo da cui potè sentire tutto. Quando fu l'ora di andare a dormire, lasciò che si coricasse prima la sorella cattiva, e che si mettesse dietro, come desiderava; ma non appena questa fu addormentata, la sollevò e la mise sul davanti vicino al bordo del letto, prendendo il suo posto dall'altra parte. Durante la notte entrò quatta quatta la vecchia: nella mano destra aveva una scure, mentre con la sinistra tastava se c'era qualcuno sul davanti; poi afferrò la scure con ambo le mani e spiccò la testa alla propria figlia.






Quando se ne fu andata, la figliastra si alzò, corse dal suo innamorato, che si chiamava Orlando, e bussò alla sua porta. Quand'egli uscì, gli disse:
"Ascolta, mio diletto, dobbiamo fuggire più in fretta possibile: la matrigna voleva uccidermi, ma ha colpito sua figlia. Quando si fa giorno e vede ciò che ha fatto, siamo perduti".
Orlando disse: "Però dobbiamo portarle via la bacchetta magica, altrimenti, se c'insegue, non possiamo salvarci".
La fanciulla prese la bacchetta magica, poi afferrò la testa della morta e lasciò cadere a terra tre gocce di sangue, una davanti al letto, una in cucina, una sulla scala. E fuggì con l'innamorato. Al mattino, quando la strega si alzò, chiamò sua figlia per darle il grembiule, ma quella non venne. Allora gridò:
"Dove sei?"
"Qui sulla scala che spazzo!" rispose una goccia di sangue.
La vecchia uscì ma non vide nessuno sulla scala e gridò di nuovo:
"Dove sei?"
"Qui in cucina che mi scaldo!" rispose la seconda goccia di sangue.
La vecchia andò in cucina, ma non trovò nessuno; allora gridò per la terza volta:
"Dove sei?"
"Ah, sono qui nel letto che dormo!"disse la terza goccia di sangue.


Carla Joy Evans


Ella entrò nella camera e si accostò al letto. E cosa vide? Sua figlia era immersa in una pozza di sangue e lei stessa le aveva tagliato la testa. La strega andò su tutte le furie, si precipitò alla finestra e, poiché vedeva assai lontano, scorse la fanciulla che fuggiva con il suo diletto.
"Avete già fatto un bel pezzo di strada - gridò - ma non servirà a nulla: vi raggiungerò lo stesso!".
Infilò i suoi stivali delle sette leghe e, dopo aver fatto un paio di passi, li aveva già raggiunti. Ma la fanciulla, ben sapendo che li avrebbe inseguiti, con la bacchetta magica trasformò il suo diletto Orlando in un lago e se stessa in un'anitra che nuotava in mezzo al lago. La strega si fermò sulla riva e cercò di attirare l'anitra gettandole briciole di pane; ma essa non si lasciò sedurre e, alla sera, la vecchia dovette tornarsene a casa senza avere concluso nulla.
La fanciulla e il suo innamorato ripresero il loro aspetto umano e camminarono tutta la notte, fino allo spuntar del giorno. Allora ella si trasformò in un bel fiore in mezzo a una siepe di spine, e il diletto Orlando in un violinista. Dopo poco tempo giunse la strega a grandi passi e disse al violinista:
"Caro violinista, posso cogliere quel bel fiore?"
"Certamente - egli rispose - intanto io suonerò".
E mentre la vecchia si introduceva di furia fra le spine cercando di raggiungere il fiore, che ben conosceva, il violinista si mise a suonare ed ella, volente o nolente, dovette ballare, poiché era una danza incantata. Egli continuò a suonare, e la strega fu costretta a ballare senza posa; le spine le strapparono le vesti di dosso, la punsero e la scorticarono, finché‚ alla fine, ella giacque a terra morta. Liberatisi della strega, Orlando disse:
"Ora andrò da mio padre a preparare le nozze".
"Intanto io resterò qui ad aspettarti - rispose la fanciulla - e perché‚ nessuno mi riconosca, mi voglio tramutare in una pietra rossa".
Così Orlando se ne andò, e la fanciulla rimase nel campo ad aspettarlo, trasformata in pietra rossa. Ma quando Orlando arrivò a casa, fu ammaliato da un'altra e scordò la sua vera fidanzata. La poverina attese a lungo, ma vedendo che non tornava, divenne triste e si tramutò in un fiore pensando che qualcuno l'avrebbe calpestata. Ma avvenne che un pastore pascolasse con le sue pecore in quel campo; scorse il fiore e, poiché era tanto bello, lo colse, lo portò con sé‚ e lo mise nel suo armadio dicendo:"Non ho mai trovato un fiore così bello!".
Ma da quel giorno ne capitarono delle belle in casa del pastore! Quando si alzava al mattino, tutte le faccende di casa erano già sbrigate: la stanza era spazzata e spolverata, il fuoco acceso, il secchio riempito al suo posto; e a mezzogiorno, quando rincasava, in tavola era già servito un bel pranzetto. Egli non capiva come fosse possibile, poiché non vedeva mai anima viva; e anche se gli piaceva essere servito così bene, finì coll'impaurirsi e andò a chiedere consiglio a un'indovina. Ella disse: "C'è sotto una magia: domani mattina, all'alba, guarda bene se non si muove nulla nella stanza; se vedi qualcosa, buttaci sopra in fretta un panno bianco: l'incanto si romperà".
Il pastore fece come gli era stato detto, e il mattino seguente vide aprirsi l'armadio e uscirne il fiore. D'un balzo egli vi gettò sopra un panno bianco. Subito cessò la magia: davanti a lui c'era una bella fanciulla, colei che si era presa cura della sua casa. Ed era tanto bella che il pastore le domandò se voleva diventare la sua sposa, ma ella rifiutò perché voleva rimanere fedele al diletto Orlando, tuttavia promise di non andar via e di continuare a occuparsi della casa.
Intanto si avvicinava il giorno in cui Orlando doveva maritarsi e, secondo un'antica usanza, furono avvertite tutte le ragazze del paese, perché si presentassero a cantare in onore degli sposi.
La fedele fanciulla, quando udì che il suo diletto Orlando stava per sposare un'altra, si rattristò tanto che credette le si spezzasse il cuore, e non voleva andarci, ma alla fine vi fu costretta. Quando toccò a lei cantare, si tirò indietro, finché si trovò a essere l'ultima. Allora non poté più sottrarsi e cantò. Ma all'udirla Orlando saltò in piedi e gridò: "Questa è la vera sposa e non ne voglio altra!".
Egli l'aveva riconosciuta dalla voce, e tutto ciò che aveva dimenticato gli era ritornato in cuore. Così la fanciulla fedele sposò il suo diletto Orlando, e il dolore si mutò in gioia.


John Byam Shaw


Grimm n.56, "Der Liebste Roland".

Classificazione: Aa Th 1119 [Ogres Kill Their Own Children], AaTh 592 [La Danza nello Spineto], Aa Th 313C [The Girl Helps the Hero Flee; the Forgotten Fiancée].

Il testo originale è nella Pagina: Brüder Grimm.

Beh, è un po' difficile, c'è di tutto: la cenerentolesca "La Bella e la Brutta", la matrigna apertamente strega, clone dell'Orco sfortunato di Pollicino con il suo efferato tentativo di omicidio che si rivolge contro la propria prole - AaTh 119 [L'Orco Uccide i Proprii Figli], e l'inseguimento con i famosi stivali delle sette leghe - la fuga magica, completa di trasformazioni, la vittoria sulla strega costretta a ballare tra i rovi fino alla morte - AaTh 592 [La Danza nello Spineto] - la complicazione dell'amante fedifrago che "dimentica" la fidanzata per rinsavire nell'imminenza delle nozze con un'altra (riconoscendo la "ex" solo dal suono della sua voce - motivo interessante) - AaTh 313 [La Fidanzata Dimenticata].