martedì 28 febbraio 2017

L'Uccello Strano, Grimm n.46, Traduzione Mia

'era una volta uno stregone che, preso l'aspetto di un mendicante, andava a chiedere l'elemosina di casa in casa, e rapiva tutte le belle ragazze che gli capitavano a tiro. Nessuno sapeva dove le portava, e le ragazze non ritornavano mai per raccontarlo. Un giorno, si presentò alla porta di un uomo che aveva tre figlie, tre bellissime fanciulle. Lo stregone sembrava proprio un povero mendìco coperto di stracci, stremato dalla fame, e, sul dorso, portava una grande e vecchia gerla per le elemosine. Egli chiese la carità di qualche avanzo, e, quando la maggiore delle tre figlie venne a portargli un pezzo di pane, gli bastò sfiorarla appena perché la fanciulla saltasse da sé dentro la gerla. Improvvisamente rinvigorito, si allontanò in fretta, e, a grandi passi, raggiunse il cuore di una tetra foresta dove sorgeva la sua casa. Al suo interno, la casa era magnifica, e la ragazza aveva tutto ciò che potesse desiderare o anche solo sognare, perché lo stregone le concedeva qualsiasi cosa.
"Tesoro mio - le disse - vedrai come starai bene qui: ogni desiderio del tuo cuore sarà esaudito."
Qualche giorno dopo, annunciò:
"Devo partire e lasciarti sola, ma non starò via a lungo. Eccoti tutte le chiavi della casa. Puoi entrare dovunque, tranne nella stanza che si apre con questa piccola chiave: là ti proibisco di entrare, pena la morte."
Poi, le consegnò un uovo e disse:
"Tienilo da conto, anzi, portalo sempre con te, perché, se lo dovessi perdere, ti capiterebbe una grande disgrazia."
La ragazza prese sia la chiave che l'uovo, e gli promise di obbedirgli alla lettera.
Una volta partito lo stregone, la ragazza visitò la grande casa da cima a fondo, ammirando tutto ciò che c'era da ammirare: le stanze risplendenti d'oro e d'argento e le meraviglie che custodivano e di cui non aveva mai visto l'eguale, neanche nei suoi sogni.
Infine, giunse alla porta proibita. Avrebbe voluto tirare diritto, ma la curiosità la trattenne: la torturava, non le dava requie. Osservò la piccola chiave: sembrava uguale alle altre. La infilò nella serratura e la girò piano piano, appena appena, ma la porta si spalancò di colpo.
E cosa vide appena entrò? Proprio nel centro della stanza, una grande vasca piena di sangue in cui giacevano membra umane, e, accanto alla vasca, un grosso ceppo in cui era conficcata una scure scintillante. Ebbe un tale soprassalto di orrore e di spavento che l'uovo le sfuggì di mano e cadde nella vasca. Si precipitò a riprenderlo e cercò di ripulirlo dal sangue, ma fu tutto inutile. Ebbe un bel lavare, smacchiare, sfregare e strofinare: il sangue ricompariva sempre.






lunedì 27 febbraio 2017

Sulasa e Sattuka, Traduzione Mia

C'era una volta, quando a Benares regnava Brahmadatta, una bellissima donna di quella città, di nome Sulasa, che aveva uno schiera di cinquecento cortigiane, e il cui prezzo era di mille monete per una notte.


E. Dulac

sabato 25 febbraio 2017

Mastro Acconcia-e-guasta, Luigi Capuana (Il Raccontafiabe)

'era una volta un vecchio falegname, che aveva una botteguccia e pochi arnesi del suo mestiere: una sega, un succhiello, una pialla, uno scalpello, un martello, una tanaglia, il pancone e nient'altro. Lavorava di grosso, e ordinariamente gli davano ad acconciare cose vecchie; per questo gli avevano appiccicato il nomignolo di Mastro Acconcia-e-guasta. Guastava un uscio e rimediava una cassa, un tavolino, due sportelli, secondo la richiesta. La colla e i chiodi dovevano comprarli gli avventori.
"Perché, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Perché sì."
I chiodi che avanzavano li rendeva, la colla no; la metteva da parte.
"Perché, mastro Acconcia-e-guasta?"
"Perché sì."
Era la sua risposta; e tirava su una presa di tabacco. Guadagnava pochino: intanto se la scialava meglio di un principe. Di dove li cavava tanti quattrini? La mattina andava al mercato per far la spesa:
"Macellaio, quel filetto di bue quanto costa?"
"Non è per la vostra bocca, mastro Acconcia-e-guasta; è per la tavola del Re."
"Ho la bocca come lui!"
Glielo dicevano a posta ogni volta per fargli rispondere così. E tutti ridevano:
"Bravo, mastro Acconcia-e-guasta!"
"Pesciaiolo, quello storione quanto costa?"
"Non è per la vostra bocca, mastro Acconcia-e-guasta; è per la tavola del Re."
"Ho la bocca come lui!"
E tutti ridevano:
"Bravo mastro Acconcia-e-guasta!"

giovedì 23 febbraio 2017

Il Fidanzato Brigante, Grimm n.40, Traduzione Mia

'era una volta un mugnaio che aveva una figlia. Era bellissima, e, quando crebbe e fu in età da marito, il mugnaio si preoccupò che avesse una buona dote, e pensava:
"Se un galantuomo dovesse trovarla di suo gusto e me la chiedesse in moglie, gliela darei volentieri".
Ben presto, si presentò un pretendente: sembrava un uomo perbene, sembrava ricco, e il mugnaio, che non era venuto a sapere nulla di male sul suo conto, gli promise sua figlia in sposa. Ma la fanciulla non lo amava come una fidanzata dovrebbe amare un fidanzato, non riusciva a fidarsi di lui, e, ogni volta che lo guardava o che le capitava di pensare a lui, le si gelava il cuore.
Un giorno, egli le disse:
"Sei la mia fidanzata, sarai presto mia moglie, eppure non sei mai venuta a trovarmi".
La fanciulla rispose:
"Ignoro dove sia la vostra casa"
"La mia casa si trova nel folto del bosco"
Allora, la fanciulla, a mo' di scusa, disse:
"Non riuscirò mai a trovare la strada".
Ma l'uomo rispose:
"Domenica prossima devi venire da me: ho già invitato una brigata di amici, e cospargerò di cenere il sentiero nel bosco perché tu possa trovare la strada".
La domenica seguente, la fanciulla stava per incamminarsi quando fu oppressa da un'angoscia di cui ignorava il motivo, e, senza sapere il perché, si riempi le tasche di piselli e di lenticchie. Giunta al confine del bosco, si avvide che il sentiero era cosparso di cenere: lo seguì, ma, ad ogni passo, gettava a destra e a sinistra della via un po' di piselli e di lenticchie. Camminò e camminò quasi tutto il giorno finché raggiunse il folto del bosco, dove le tenebre erano più fitte. Là c'era la casa del fidanzato, e le parve oscura e inospitale.
Entrò: non c'era nessuno e vi regnava il più cupo silenzio. 
All'improvviso, una voce gridò:

"Fuggi, fuggi, bella sposa!
In questa casa non devi restare,
Ché qui cose terribili accadono!"



A. Rackham



martedì 21 febbraio 2017

Bambolina, Luigi Capuana (Il Raccontafiabe)

'era una volta un pescatore che vivucchiava alla meglio col prodotto della sua pesca. Partiva in barca la sera, stava a pescare tutta la nottata, e la mattina dopo all'alba era di ritorno. Quando aveva fatto una buona retata, scorgendo da lontano la moglie che lo attendeva, ansiosa, alla spiaggia, le faceva segno di rallegrarsi, agitando per aria il berretto. Da parecchi mesi però il povero pescatore aveva una gran disdetta; pareva che quasi tutti i pesci si fossero messi d'accordo per non farsi pescare da lui. I suoi compagni, invece, ne pigliavano tanti e poi tanti, che spesso dovevano rigettarli in mare, perché il troppo peso non facesse affondare le barche. Disperato un giorno disse alla moglie:
"Vendiamo barca, reti e ogni cosa; almeno tireremo innanzi un buon paio di settimane con quel po' di danaro che ne caveremo. Se no, saremo ben presto morti di stento tu, io e Bambolina".


Artuš Scheiner



domenica 19 febbraio 2017

La Sirenetta, H.C. Andersen, Traduzione Mia (Terza e Ultima Parte)


Gabriel Pacheco



E la Sirenetta abbandonò la sua aiuola e nuotò fino al gorgo mugghiante al di là del quale abitava la Strega. Non si era mai spinta in quei luoghi remoti, dove non crescevano fiori né erbe marine. Solo nuda sabbia grigia si estendeva fino al vertiginoso abisso dove un terribile vortice d'acqua turbinava come la ruota di un mulino, e trascinava nello sprofondo tutto ciò che riusciva a ghermire.
E i vapori velenosi di quel vortice dovette attraversare la Sirenetta per raggiungere il dominio della Strega del Mare, e, per un lungo tratto, fu costretta a nuotare sul pantano ribollente che la Strega chiamava la sua torbiera.
E al di là del pantano era la sua dimora, nel mezzo di una foresta ben strana, i cui alberi, rami e sterpeti erano, infatti, polipi, per metà animali e per metà piante.
Parevano serpenti dalle cento teste che spuntavano dal suolo: i rami erano lunghe braccia viscide, con dita mollicce come vermi, ed era tutto un torcersi ed uno strisciare, e ciò che riuscivano a brancicare lo avvinghiavano stretto e non lo lasciavano andare mai più.
Per un istante, alla Sirenetta mancò il cuore per lo spavento: fu tentata di tornare indietro, ma ripensò al Principe, ripensò all'agognata anima immortale, e riprese coraggio. Si avvolse i lunghi, fluttuanti capelli intorno alla testa perché i polipi non glieli afferrassero, si strinse le braccia sul petto, e continuò ad avanzare, guizzando come un pesce, tra le orribili lunghe braccia e le dita mollicce protese per afferrarla.
Vide uomini annegati e colati a picco sul fondo, e, adesso, bianchi scheletri nella morsa dei polipi, e remi e relitti di naufragi, e ossa di animali marini, e scheletri di navi affondate, e persino una piccola sirena che i polipi avevano ghermito e strangolato, e questo fu lo spettacolo più orribile da sopportare per la Principessina.
Giunse, infine, ad una grande palude nel cuore della spaventosa foresta, dove enormi bisce d'acqua strisciavano all'intorno, e svolgevano le loro spire mostrando il ventre giallastro. E nella palude sorgeva la dimora della Strega, edificata con bianche ossa di naufraghi, e là se ne stava la Strega, impegnata a dar da mangiare ad un rospo dalla propria bocca, così come noialtri, a volte, porgiamo un pezzetto di zucchero ad un canarino.
La Strega chiamava gli orridi serpenti  i "suoi cari pulcini", e lasciava che le strisciassero in grembo e intorno alle spalle.



Lomaev A.


sabato 11 febbraio 2017

La Sirenetta, H.C. Andersen, Traduzione Mia (Seconda Parte)

Quando la Sirenetta emerse dalle onde, il sole era appena tramontato; pure, le nuvole avvampavano ancòra di rosa e oro, e, nel cielo trasparente, risplendeva, nella sua solitaria bellezza, la stella della sera. L'aria era pura e fresca, e il mare, calmo, senza un'increspatura. C'era un grande bastimento a tre alberi, ma con una sola vela spiegata, poiché non spirava un alito di vento; e i marinai se ne stavano seduti sulle sartie e sui fasci di cordami. Risuonavano musica e canti, e, quando si addensarono le ombre della sera, vennero accese centinaia di luci colorate, e pareva che avessero issato le bandiere di tutte le nazioni del mondo.



Galya Zinko


venerdì 3 febbraio 2017

La Sirenetta, H.C. Andersen, Traduzione Mia (Prima Parte)


Illarionova N.



In mare aperto, l'acqua è blu come i petali dei fiordalisi più belli, e trasparente come il cristallo più puro, ma è molto profonda, così profonda che non è possibile gettare l'ancora; così profonda che bisognerebbe mettere i campanili di tante, tante chiese l'uno sopra l'altro per arrivare a scorgere la cima dell'ultimo.
Ed è laggiù che ha la sua dimora il Popolo del Mare.
Ma non crediate che sul fondo ci siano solo distese di candida sabbia! Vi crescono stranissimi alberi e piante i cui rami e steli e petali sono così flessuosi che ondeggiano al minimo movimento dell'acqua tanto da sembrare esseri viventi.
Pesci grandi e piccoli nuotano tra i loro rami, proprio come gli uccelli volano fra i rami degli alberi sulla terra.
E, nel profondo più profondo, si erge il Castello del Re del Mare. Le mura sono di corallo, e le alte finestre ad ogiva dell'ambra più trasparente, ma il tetto, formato da conchiglie che si aprono e si chiudono secondo il movimento dell'acqua, è uno spettacolo meraviglioso perché ogni conchiglia racchiude una luminosa perla, e una sola di quelle perle sarebbe il più superbo ornamento per la corona di qualsiasi regina.


Lomaev A.


giovedì 2 febbraio 2017

Il Figliuolo del Re, Stregato, D. Comparetti n.8

na volta c'era un giovinotto e tre sorelle che erano le più belle del paese.
Il giovane faceva all'amore con una di loro e tutti gli dicevano:
“Voi fate all'amore con quelle ragazze; non sapete che sono streghe?”
Glielo dissero tanto che una volta volle fare la prova. Accadde dunque che lui va in casa di queste ragazze verso sera, e arrivandoci disse:
“Abbiate pazienza se sono arrivato tardi, perché oggi ho avuto tanto da fare! E ho un sonno che non posso più star in piedi.”
E discorre un poco e poi roh, roh, incomincia a russare che pareva un somaro.
Le tre sorelle per un po' stettero zitte, ma poi erano lì per sonar le undici, e loro dovevano andare sotto il noce a ballare. Mettono dunque de' zolfanelli acesi sotto il naso di quest'uomo e lui faceva le viste di non sentire, come se dormisse d'un sonno più duro. Allora gliene fecero di tutti i colori, ma il giovanotto tenne fermo. Loro pigliarono un vasetto d'unguento e ungendosi dicevano:
"Unguento unguento, fammi andare più del vento!"
E si unsero, e sedendosi sopra una seggiola gli uscì dalla bocca un pipistrello, e restarono lì come morte.
Il giovanotto quando vide che non si muovevano più, si levò e guardò se erano proprio morte. E non sapeva neanche lui cosa fare. Aspettare gli rincresceva; andare faceva vedere che l'aveva scoperte. Volle stare ancora un po' a vedere. Ecco che alle tre dopo mezzanotte si sente venire a casa le tre streghe in forma di tre pipistrelli; tornano dentro al loro corpo, e si mettono a cenare. Guardarono se potevano destare il giovanotto; ma che? l'era tempo perso. Loro dunque si misero a mangiare, e una strega più vecchia disse:
"Facciamo un po' una stiacciatina del sangue del figliuolo del re, e mangiamola se no potrebbe essere che qualcuno ce lo pigliasse. Se quel povero ragazzo ne potesse mangiare lui, guarirebbe, ma non può e non passa una giornata che lui se ne starà lungo e disteso, freddo come una pietra".


 B.M. Vidal



Intanto che lei diceva queste parole, il giovanotto si destò e loro dissero:
"Giacchè siete un dormiglione, mangiate un po' tanto quanto avete dormito".
Ma lui non mangiò di quella stiacciata fatta del sangue del figliuolo del re: fece vista di mangiarla e se la mise in seno. Poi, venendo il giorno, tornò al paese. E appena arrivato sentì la nuova che il figliuolo del re stava per morire. Andò sotto la finestra del re e cominciò a gridare:
"Chi vuol guarire d'ogni male? Io ci ho il rimedio".
La serva disse alla regina:
"O Madama, c'è uno sotto la finestra che fa guarire tutti i mali; chiamiamolo un poco, che lui farà guarire il principe".
E così fecero e il figliuolo del re mangiando di quella stiacciatina fatta con il suo sangue, si fece già più bello e più forte di prima. Poi andarono a pigliare quelle tre streghe, ne fecero una fiammata e le bruciarono. E bruciandole sentivano un puzzo di morto così forte che pareva di stare in un cimitero perché quelle streghe mangiavano il sangue della gente del paese.

(Monferrato)

n.8 da "Novelline Popolari Italiane", D. Comparetti