giovedì 29 giugno 2017

La Fanciulla con Una Mano Sola, (Africa), A. Lang. Seconda e Ultima parte, Traduzione Mia

a ragazza non riusciva a credere alla propria buona sorte, e, grata per la grande gentilezza con cui era stata accolta, si dimostrò così premurosa e gentile con i genitori del marito che essi, ben presto, l'amarono.
Qualche tempo dopo, la giovane diede alla luce un bambino, ma il Principe fu costretto a lasciarla poiché il Re suo padre lo inviò ad occuparsi di affari di Stato in remote regioni del Regno.
Non era trascorso molto tempo dalla partenza del Principe che il fratello della ragazza decise di recarsi nella capitale. Aveva dilapidato le ricchezze della moglie ed era più povero di prima. Mentre camminava tra la folla, udì un uomo dire:
"Sapete che il figlio del Re ha sposato una donna senza una mano?"
 A queste parole, si fermò e chiese:
"E dove ha incontrato quella donna?"
"Nella foresta", rispose l’uomo, e il crudele fratello intuì che doveva trattarsi di sua sorella.
Il pensiero che la ragazza che aveva tentato di condurre alla rovina si fosse innalzata ad un tale rango accese in lui una rabbia feroce, e giurò che ne avrebbe provocato la caduta. Quello stesso pomeriggio, si recò a Palazzo e chiese udienza al Re.



Leo e Diane Dillon





Quando fu ammesso alla sua presenza, s'inginocchiò toccando il pavimento con la fronte. Il Re gli ordinò di alzarsi e di raccontargli il motivo della sua visita.
"A causa della bontà del vostro cuore, o mio Re, siete stato ingannato - disse l'uomo - Vostro figlio ha sposato una ragazza con una mano sola. Sapete come l'ha perduta? È una strega, ha avuto tre mariti, e tutti e tre sono morti a causa dei suoi maleficî. Allora, la gente del villaggio le ha tagliato una mano e l'ha abbandonata nella foresta. Ciò che dico è la verità perché il suo villaggio natìo è anche il mio".
Il Re ascoltò e si fece scuro in volto. Sfortunatamente, aveva un carattere impulsivo, così invece di inviare qualcuno nel villaggio della nuora per informarsi presso chi la conosceva bene e che avrebbe potuto raccontare quanto duramente lavorasse e quanto fosse povera, credette a tutte le falsità del fratello, e indusse anche la Regina a crederci. Si consigliarono a vicenda sul da farsi, e, infine, decisero che la nuora fosse scacciata dalla capitale.
Ma il suo esilio non bastava al malvagio fratello.
"Uccidetela - disse - È ciò che merita per aver osato sposare il figlio del Re. E non potrà recar danno ad altri."
"Non possiamo ucciderla - risposero il Re e la Regina - Se lo facessimo, di sicuro nostro figlio ucciderebbe noi. Scacciamola e che siano altri ad ammazzarla."
E il fratello invidioso non osò insistere oltre.
La povera donna amava molto il marito, ma il suo bambino era quanto di più prezioso avesse al mondo, e, se lo aveva con sé, non si perdeva mai d'animo. Così, prese in braccio il figlioletto, si appese al collo un pentolino di terracotta per cucinare, e lasciò la grande Casa con i suoi ventagli di penne di pavone, gli schiavi e i seggi d’avorio, e si inoltrò nella foresta.
Camminò per un po’, senza meta, e, quando si sentì esausta, sedette sotto un albero e si affannò a cullare il bambino perché si addormentasse. Improvvisamente, vide un serpente che, sgusciato da un cespuglio, strisciava verso di lei.
'Sono una donna morta', pensò, e rimase immobile, pietrificata dal terrore. Un istante e il serpente fu al suo fianco, ma, con sua sorpresa, parlò:
"Apri il tuo pentolino di terracotta e fammici entrare. Salvami dal sole e io ti salverò dalla pioggia".
La ragazza scoperchiò il pentolino e, quando il serpente vi fu scivolato dentro, coprì nuovamente la piccola pentola.


H.J. Ford



Poco dopo, vide arrivare un altro serpente. Quando l'ebbe raggiunta, si fermò e disse:
"Hai visto un serpentello grigio passare da queste parti?"
La ragazza rispose:
"Sì, e aveva una gran fretta."
"Devo sbrigarmi e catturarlo!" Esclamò il serpente e se ne andò di corsa.
Quando disparve alla vista, una vocina disse:
"Scoperchia il pentolino."
La ragazza sollevò il coperchio e il serpentello grigio sgusciò fuori.
"Adesso sono salvo - disse - Ma tu, dove stai andando?"
"Non posso dirtelo perché io stessa non lo so - rispose la ragazza - vago per il bosco."
"Seguimi: andiamo a casa mia".
E così la ragazza seguì il serpentello lungo i verdi sentieri della foresta finché giunsero a un grande lago, sulle cui rive si fermarono a riposare.
"Il sole è molto caldo - disse il serpente grigio -  e tu cammini da tanto: prendi il bambino e bagnalo in quella pozza fresca laggiù, dove i rami degli alberi si protendono fino a sfiorare l’acqua."
La ragazza acconsentì ben volentieri e s'incamminò.
Il bambino giocava con l'acqua, sollevando schizzi tra strilli di gioia, quando, all'improvviso, spiccò un salto e  ricadde giù, e giù, e giù, e sua madre non riusciva a trovarlo, per quanto affannosamente lo cercasse tra le canne. Al colmo del terrore, la ragazza tornò a riva e invocò il serpente.
"Il mio bambino è sparito sott'acqua! È annegato, e non lo rivedrò mai più."
"Ritorna laggiù - le disse il serpente - e cerca dovunque, anche fra le radici degli alberi che affondano nell'acqua, e che trattengono forte qualsiasi cosa".
La ragazza tornò indietro in gran fretta e cercò dappertutto con la sua unica mano: infilò persino le dita nelle fessure dove neanche un granchio sarebbe riuscito a strisciare.
"Non c'è! Non c'è! - gridò - Come potrò vivere senza di lui?"
Il serpente non si scompose e disse:
"Immergi nell'acqua anche l'altro braccio e cerca ancòra".
"Perché? - chiese la ragazza - A che scopo se non ho una mano con cui cercare?"
Ma gli obbedì, e il suo braccio mutilato toccò qualcosa di tondo e morbido che giaceva tra due pietre, in un groviglio di canne.
"Il mio bambino, il mio bambino!" gridò, e lo sollevò fuori dall'acqua e  lui rideva di gioia, e non era ferito né spaventato.
"Lo hai trovato, questa volta?", chiese il serpente.
"Sì, oh, sì! - rispose la ragazza -  E ho di nuovo la mia mano!"
E scoppiò in lacrime, al colmo della gioia.


H.J. Ford



Il serpente lasciò che si sfogasse per un po', quindi, le disse:
"E adesso andiamo a casa mia, dove sarai ricompensata per la grande gentilezza che mi hai dimostrato."
"Restituendomi la mia mano mi hai più che ripagata!" Replicò la ragazza, ma il serpente si limitò a sorridere.
"Sbrighiamoci, prima che il sole tramonti", la incitò, poi, e prese a strisciare così velocemente nell'erba che la ragazza riusciva a stento a tenergli dietro.
In breve tempo, raggiunsero la casa in un albero in cui, quando non viaggiava, viveva il serpente, con il padre e la madre. Raccontò loro le proprie avventure e come fosse sfuggito al suo nemico.
Padre serpente e Madre serpente non sapevano come fare per dimostrare alla ragazza tutta la  loro gratitudine. Prepararono per lei un'amaca, intrecciando robuste liane, e la appesero da un ramo ad un altro, e la ragazza poté riposarsi dopo il lungo cammino, ed era tranquilla perché i serpenti si presero cura del suo bambino, e lo nutrirono con il latte delle noci di cocco che le amiche scimmie avevano consentito ad aprire per loro. I serpenti riuscirono a sfamare anche la madre del bambino portandole dei piccoli frutti assicurati alle loro code, e, finalmente, la ragazza si sentì in salvo e in pace.
Non che avesse dimenticato il marito, anzi, pensava spesso a lui, e desiderava ardentemente che vedesse il loro bambino. A volte, di notte, giaceva sveglia e si chiedeva dove fosse. Trascorsero così diverse settimane.
Ma che ne era stato del Principe? Ebbene, mentre viaggiava lungo i più lontani confini del Regno, era caduto gravemente ammalato ed era stato curato da un popolo gentile che non sapeva chi fosse, così il Re e la Regina non avevano avuto sue notizie.
Quando il Principe si sentì meglio, prese lentamente la via di casa, e raggiunse il palazzo di suo padre, in cui trovò uno strano uomo che stava in piedi dietro il trono reggendo il grande ventaglio di piume di pavone. Era il fratello di sua moglie, che il Re teneva in grande considerazione, ma, naturalmente, il Principe ignorava ciò che era accaduto durante la sua lunga assenza.
Per un istante, il Re e la Regina lo fissarono senza riconoscerlo: a causa della malattia, era debole ed emaciato e aveva le spalle cadenti come quelle di un vecchio.
"Avete già dimenticato vostro figlio?" chiese il Principe.
Al suono della sua voce, scoppiarono in lacrime e corsero ad abbracciarlo, e lo tempestarono di domande su ciò che era accaduto e sulla ragione del terribile mutamento del suo aspetto.
Ma il Principe non rispose alle loro domande.
"Come sta mia moglie?" chiese.
Dopo un lungo silenzio, la Regina rispose:
"È morta."
"Morta! - ripeté il Principe, facendo un passo indietro - E mio figlio?"
"È morto anche lui."
Il giovane restò in silenzio, poi disse:
"Mostratemi le loro tombe."
A queste parole, il Re, che si sentiva piuttosto a disagio, riprese animo: non aveva forse ordinato che venissero costruite due magnifiche tombe da mostrare al figlio, proprio perché mai e poi mai potesse indovinare ciò che era stato di sua moglie?
In tutti quei mesi, il Re e la Regina  non avevano fatto che ripetersi l'un l'altro quanto fossero stati buoni e misericordiosi poiché non avevano seguito il consiglio del fratello della nuora e si erano rifiutati di metterla a morte. Adesso, però, stranamente, non si sentivano più sicuri di aver agito bene nei confronti della sposa del figlio.
Il Re guidò il Principe lungo il cortile dietro il Palazzo e, poi, attraverso un cancello, in uno splendido giardino in cui, in una radura tra gli alberi, sorgevano due magnifiche tombe.
Il Principe avanzò da solo, posò la fronte sulla pietra delle tombe e scoppiò in un pianto disperato.
Ad una certa distanza, il padre e la madre se ne stavano in piedi dietro di lui, in silenzio. Avvertivano una fitta al cuore che non riuscivano a comprendere. Può essere che fosse vergogna?
Dopo un po', il Principe si voltò, e, precedendo i genitori, rientrò a Palazzo e ordinò che gli schiavi gli portassero le vesti del lutto. Per sette giorni nessuno lo vide, ma, al termine del periodo di lutto, andò nuovamente a caccia e aiutò il padre come prima nelle faccende di Stato. Ma nessuno osava parlargli della moglie e del figlio.
Infine, un mattino, dopo aver trascorso sveglia l'intera notte pensando al marito, la ragazza disse al suo amico serpente:
"Mi hai usato mille cortesie, ma, adesso, sto di nuovo bene e voglio tornare casa per avere notizie di mio marito, e sapere se mi piange".
A queste parole, il serpente si rattristò, ma disse soltanto:
"Sì, così deve essere. Va' a dire addio a mio padre e a mia madre, ma, se dovessero offrirti un dono, bada bene di non accettare altro che l'anello di mio padre e lo scrigno di mia madre."
Così la ragazza andò da Padre serpente e Madre serpente che piansero amaramente al pensiero di perderla, e le offrirono, in loro ricordo, una gran quantità di oro e gioielli, ma la ragazza scosse la testa e allontanò da sé quelle ricchezze.
"Non vi dimenticherò mai, mai - disse con voce rotta - ma gli unici pegni d'affetto che accetterò da voi sono questo anellino e questo vecchio scrigno".




I due serpenti si guardarono costernati: l'anello e lo scrigno erano le sole due cose che non volevano donarle. Poi, dopo un breve silenzio, dissero:
"Perché desideri tanto questo anellino e questo scrigno? Chi te ne ha parlato?"
"Oh, nessuno, è solo un capriccio", rispose la ragazza.
Ma i vecchi serpenti scossero la testa e dissero:
"Non è vero: è stato nostro figlio a parlartene e, se lo ha fatto, vuol dire che è giusto così. Se avrai bisogno di cibo o di vestiti o di una casa, dillo all'anello e li avrai. E, se sei infelice o in pericolo, dillo allo scrigno e sistemerà le cose".
Poi, entrambi le diedero la loro benedizione, e lei prese il bambino e se ne andò.
Cammina cammina, giunse nei pressi del grande villaggio dove regnava il suocero e dove viveva anche suo marito.
Si fermò sotto un gruppo di palme e disse all'anellino che voleva una casa.
"Fatto, mia Signora", sussurrò una strana vocina che la fece sobbalzare. Si voltò e vide un bel palazzo costruito con i legni più pregiati, e, davanti al portone, una lunga fila di schiavi con alti ventagli di piume che si prostravano al suo passaggio. Fu assai contenta di entrare poiché era esausta e, dopo aver consumato un’ottima cena a base di frutta e latte che aveva trovato in una delle stanze, si sdraiò su una pila di cuscini e si addormentò con il bambino al suo fianco. In quel palazzo viveva serena, e, ogni giorno, il bambino diventava più alto e più robusto, e ben presto incominciò a correre e persino a parlare.
Naturalmente, nel vicinato si faceva un gran chiacchierare di quella casa costruita così rapidamente - troppo rapidamente - nei sobborghi della capitale, e la gente inventava ogni sorta di storie sulla ricca signora che ci viveva.


Leo e Diane Dillon



Di ritorno dalla guerra con il figlio, il Re venne a sapere di quelle chiacchiere.
"È proprio strana quella casa nel palmeto - disse alla Regina - Devo assolutamente scoprire qualcosa sulla signora che nessuno ha mai visto.  Arrivo a sospettare che non si tratti di una signora, ma piuttosto di una banda di cospiratori che tramano per impossessarsi del trono. Domani prenderò mio figlio e il Primo Ministro e insisteremo per entrare".
Il giorno seguente, poco dopo il sorgere del sole, la moglie del Principe si trovava su una collinetta dietro la casa quando vide una nuvola di polvere che avanzava dalla parte del villaggio. Dopo un po', sentì, ancora attutito dalla distanza, il rullo di tamburi che annunciava l'arrivo del Re, e scorse una folla di persone che si avvicinava al palmeto. Il suo cuore batté più velocemente: possibile che ci fosse anche suo marito nel corteo? In ogni caso, non dovevano sorprenderla lì. Ordinò all'anello di apparecchiare del cibo per gli ospiti, e corse nel palazzo; si avvolse la testa e il volto con un velo di garza d’oro, prese il suo bambino per mano, e attese davanti alla porta.
Il corteo reale e la moltitudine di popolo raggiunsero la casa, e la giovane andò incontro ai nobili visitatori e li pregò di entrare a riposare.
"Volentieri - rispose il Re - Va' avanti e noi ti seguiremo".
Entrarono in una vasta sala in penombra dove era un tavolo ricoperto di coppe d'oro e di cestini ricolmi di datteri, di noci di cocco e di ogni sorta di dorati frutti maturi.
Il Re e il Principe erano sdraiati sui cuscini, serviti dagli schiavi, mentre i Ministri, tra i quali la giovane riconobbe il fratello, stavano in piedi dietro di loro.
'Ah, devo a lui la mia rovina! - Disse la giovane tra sé e sé - Mi ha sempre odiata!'
Ma, esternamente, non tradì alcuna emozione.
 Il Re le chiese le ultime novità, ma lei rispose:
"Venite da lontano e avete cavalcato a lungo: mangiate e bevete perché siete affamati e assetati, poi vi racconterò le novità".
"Parli saggiamente", rispose il Re, e il silenzio cadde nella sala.
Dopo un po', il Re disse:
"Adesso, Signora, ho finito e mi sono ristorato; dunque dimmi, ti prego, chi sei e da dove vieni. Prima, però, siediti".
La donna, chinato il capo in segno di reverenza, sedette su un grande cuscino color porpora, prese sulle ginocchia il suo bambino, che, intanto, si era addormentato, e incominciò a raccontare la storia della propria vita.
Ascoltandola, il fratello avrebbe voluto correre a nascondersi nella foresta, ma era suo compito agitare il ventaglio di piume di pavone sulla testa del Re per tenere lontane le mosche, e sapeva bene che, se avesse tentato di scappare, sarebbe stato catturato dalle guardie reali. Non aveva scampo, doveva rimanere, ma, per sua fortuna, il Re era troppo interessato al racconto della sorella per accorgersi che il ventaglio non si muoveva e che le mosche svolazzavano liberamente sui suoi folti capelli ricciuti.
Mentre raccontava la propria storia, la giovane non guardò mai il Principe, neanche attraverso il fitto velo, benché lui, seduto al suo fianco, non le staccasse gli occhi di dosso.
Quando narrò di come si fosse nascosta piangendo sull'albero, il figlio del Re non si trattenne più.
"È mia moglie - gridò, slanciandosi verso la donna, che sedeva con il bambino addormentato in grembo -  Mi hanno mentito, tu non sei affatto morta, e neanche il nostro bambino! Ma che cosa è accaduto? Perché mentirmi? E perché hai lasciato la mia casa in cui eri protetta e al sicuro?" E si voltò a guardare il padre con ferocia.
"Lasciami finire la mia storia e capirai", rispose la ragazza, che, gettato via il velo, raccontò di come il fratello si fosse recato a Palazzo e l'avesse accusata di essere una strega, e di come avesse tentato di convincere il Re a ucciderla.
"Ma lui non ha voluto farlo - continuò dolcemente - e, dopotutto, se fossi rimasta nella tua casa, non avrei mai incontrato il serpente e non avrei riavuto la mia mano. Dimentichiamo ogni cosa e torniamo ad essere felici: non vedi che bel ragazzino è diventato tuo figlio?"
"E che dovremmo fare di tuo fratello?" Chiese il Re, felice di scoprire che, tutto sommato, c'era qualcuno che si era comportato peggio di lui.
"Che sia scacciato dal villaggio", rispose la giovane nuora.

FINE


Leo e Diane Dillon




"The One-handed Girl",
da "Swaheli Tales", di E. Steere
in "The Lilac Fairy Book" di A. Lang.

Traduzione: Mab's Copyright.


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